Farmaci sotto accusa
Un articolo molto lungo, ma che ritengo importante per la conoscenza sull'argomento farmaci dei quali troppo spesso se ne fa un abuso di consumi.
L'onnipresente nimesulide, l'Aulin per intenderci, ritirato in Irlanda, Finlandia e Spagna perché può causare gravi danni al fegato. Gli sciroppi per la tosse e il raffreddore messi sotto accusa negli Usa perché pericolosi per i bambini, oltre che probabilmente inutili. Le gocce o gli spray per decongestionare il naso. Il diffusissimo rosiglitazone, antidiabetico, al centro di una bufera dai contorni inquietanti. E lo psicofarmaco olanzapina, che è tra i più venduti. Si allunga la lista dei farmaci che sembrano fare più male che bene.
Cominciamo da quelli che ora, in tempo di influenza, sono tra i più venduti nelle farmacie italiane: prodotti da banco per tosse e raffreddore. Dal 2000 a oggi i centri antiveleni statunitensi hanno ricevuto più di 750 mila chiamate in relazione all'uso di questi prodotti, e tra il 2004 e il 2005 più di 120 bambini americani sotto i sei anni sono morti a causa di sciroppi contro i sintomi da raffreddamento. Perché? "È difficile fare un discorso unico su questi prodotti, costituiti da varie misture di antistaminici, decongestionanti, sedativi della tosse, espettoranti", spiega Maurizio Bonati del laboratorio per la Salute materno-infantile dell'Istituto Mario Negri di Milano: "Ognuna di queste componenti di per sé o insieme alle altre può dare effetti indesiderati, e non esistono prove che servano davvero".
È di pochi giorni fa uno studio che non ha trovato differenze tra gli sciroppi per la tosse e il classico sistema del latte caldo col miele. Tra i sedativi della tosse è stata la stessa azienda produttrice a ritirare dal mercato mondiale il clobutinolo (Silomat), in commercio in Italia da più di trent'anni, ma per il quale studi su volontari sani hanno dimostrato un aumento del rischio di aritmie del cuore.
Di decongestionanti nasali, in Italia, si è occupato un gruppo di lavoro costituito nel 2006 all'interno dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) guidato da Maurizio Bonati, che racconta: "Solo dal Centro antiveleni dell'Ospedale Niguarda di Milano abbiamo ricevuto una cinquantina di segnalazioni su questi prodotti. Per fortuna non risultano decessi, ma disturbi del respiro, della coscienza e reazioni cutanee anche importanti". Le autorità raccomandano, quindi, di non usarli sotto i 12 anni di età.
Sotto i due, poi, sono assolutamente vietati, anche se, annota Bonati, "essendo prodotti che si possono acquistare liberamente in farmacia, è difficile controllare che questi limiti siano rispettati". Ma non sono l'unico pericolo in agguato per i bambini raffreddati: "Attenzione c'è per i cortisonici per aerosol, come il beclometasone (Clenil) di cui in Italia siamo i più grandi consumatori al mondo", aggiunge il farmacologo. A un bambino italiano su quattro, infatti, per ogni raffreddore vengono prescritti aerosol a base di farmaci che dovrebbero essere usati soltanto negli asmatici.
Altro fenomeno che non ha pari negli altri paesi è la 'passione' per la nimesulide, che fino all'ultimo allarme deteneva in Italia il primato assoluto nelle vendite degli antinfiammatori, con una fetta di mercato superiore al 50 per cento. Dai dati della Rete nazionale di farmacovigilanza risulta che i 25 milioni di confezioni di nimesulide vendute ogni anno in Italia, per lo più in bustine prese con leggerezza al primo starnuto o a un accenno di mal di testa, per i dolori mestruali o la lombalgia, hanno provocato anche nel nostro Paese non pochi effetti collaterali: dal 2001 a metà del 2007 le segnalazioni di possibili reazioni avverse sono state più di 700, la metà delle quali considerate gravi.
Nello stesso periodo i decessi sarebbero stati solo sul territorio nazionale una ventina. Eppure per molti italiani, ignari che il provvedimento fosse già stato preso da tempo anche in Finlandia e Spagna, la notizia che la nimesulide era stata ritirata in Irlanda dopo alcuni casi letali è stata una doccia fredda. L'Aifa, dopo aver soppesato rischi e benefici, ha deciso di mantenerla sul mercato: può essere usata, ma solo su indicazione specifica del medico, che di volta in volta ne valuta la necessità e l'assenza di possibili altri fattori di rischio come l'abuso di alcol o la concomitante assunzione di farmaci che possono danneggiare il fegato. Gli stessi produttori raccomandano che non venga preso, come di solito accade, per il trattamento di febbre e sintomi influenzali e che non si superino i 100 mg. al giorno. "La scelta di non ritirarlo", spiega Mauro Venegoni, responsabile della farmacovigilanza per l'Agenzia italiana del farmaco, "è stata motivata da una valutazione degli effetti che questo provvedimento avrebbe provocato: sulla base di studi pubblicati in Italia abbiamo calcolato che se tutti i pazienti che usano nimesulide fossero passati ad altri medicinali più sicuri per il fegato, ma meno per lo stomaco, la riduzione di poche centinaia di casi di danni epatici sarebbe stata ampiamente superata da un maggior numero di ricoveri per sanguinamenti gastrici e perforazioni intestinali". Il provvedimento sembra sia stato sufficiente, visto che in poche settimane il consumo del medicinale si è quasi dimezzato, riportandosi ai livelli degli altri paesi europei, dove è solo uno dei tanti antinfiammatori a disposizione, non quello di prima scelta.
"È chiaro che in questo campo non esiste il farmaco ideale, che toglie infiammazione e dolore senza nessun tipo di rischio", spiega Venegoni. Lo ha insegnato anche la storia dell'antinfiammatorio per l'artrite rofecoxib, il Vioxx (vedi box, a pag. 129), ritirato quando è emerso che raddoppiava il rischio di ictus e infarto. Eppure in Europa ci sono ancora sul mercato prodotti analoghi. "Sta al medico individualizzare la scelta: il coxib può essere utile nel caso di una persona che ha sofferto di ulcera ma non ha fattori di rischio cardiovascolare", afferma Venegoni. Certo è che la vicenda Vioxx ha mostrato macroscopicamente ciò che, in misura minore, emerge anche dagli allarmi più recenti: la medicina da ingoiare ai primi sintomi di qualcosa, senza pensarci su più di tanto, non esiste. Qualunque cosa abbia un effetto terapeutico rischia di avere anche un effetto collaterale, che in certi casi può essere molto dannoso.
Questa verità, oggi sotto gli occhi di tutti, rischia di avere un impatto assai serio sui fatturati delle aziende se si pensa che il fallimento del Vioxx, da cui si prevedeva un ritorno di 3 miliardi di dollari l'anno, ha provocato per l'azienda (Merck) un crollo del valore del mercato di 25 miliardi. Non stupisce, allora, che stia prendendo le forme di un giallo industriale la faccenda del rosiglitazone, antidiabetico diffusissimo col nome di Avandia, oggetto negli ultimi mesi di una battaglia a colpi di lavori scientifici e dichiarazioni degli enti di regolamentazione statunitensi ed europei (Fda ed Emea). Premettiamo che entrambe le agenzie continuano a considerare positivo il rapporto tra rischi e benefici del farmaco e del 'cugino' giapponese, il pioglitazone (Actos, di Takeda), accusati di provocare scompensi cardiaci e fratture ossee.
La questione è così riassumibile: il diabete non preoccupa tanto di per sé, quanto per le conseguenze a lungo termine dell'eccesso di zuccheri nel sangue. Tra coloro in cui la malattia è comparsa in età adulta, spesso accompagnata da sovrappeso, colesterolo e pressione alta, i rischi maggiori sono quelli a danno delle coronarie e delle altre arterie. Il rosiglitazone è stato accolto con entusiasmo perché efficace nel ridurre la glicemia: "Peccato che aumenti il rischio di scompenso cardiaco, infarto e ictus", sostiene Steven Nissen, noto cardiologo della Cleveland Clinic dell'omonima città, nell'Ohio, il più fervente sostenitore di questa battaglia. La risposta di altri studiosi era stata che, dall'analisi dei dati, risulta che la mortalità non cambia. Ora, però, l'ultima ricerca pubblicata sul 'Journal of the American Medical Association' sembra dare ragione ai nemici del rosiglitazone: nei diabetici che hanno più di 66 anni ai rischi noti si associa (come peraltro era prevedibile) anche un maggior rischio di lasciarci la pelle.
La vicenda rosiglitazone, come prima quella del Vioxx, riporta in primo piano la necessità che sui farmaci vengano condotti studi indipendenti, ovvero non finanziati dalle aziende produttrici. È stato il caso di una recente scoperta fatta a proposito di due sostanze, pergolide e cabergolina, usate contro il morbo di Parkinson. "Ci siamo insospettiti per l'alta frequenza con cui i nostri malati venivano sottoposti a interventi chirurgici di sostituzione delle valvole cardiache", racconta Gianni Pezzoli, direttore del Centro Parkinson degli Istituti clinici di perfezionamento di Milano: "Così abbiamo controllato, con l'ecografia, il cuore di un centinaio di pazienti che prendevano pergolide o cabergolina, farmaci che per il loro meccanismo d'azione potevano essere chiamati in causa, e di una quarantina che invece si curavano con medicine di altro tipo". Mentre tra i primi più di un malato su quattro mostrava gravi danni alle valvole, tra gli altri nessuno presentava lesioni simili. Il lavoro italiano, pubblicato sul prestigioso 'New England Journal of Medicine', è stato poi confermato da un'analisi retrospettiva condotta sul Registro nazionale britannico che ha esaminato più di 11 mila persone.
Guai seri si prospettano anche per la multinazionale Eli Lilly che produce l'olanzapina, un diffusissimo psicofarmaco venduto col nome di Zyprexa, prodotto di punta da 4 miliardi di dollari di entrate l'anno. Ma, nell'ultimo biennio, 26 mila pazienti hanno chiesto e ottenuto di essere risarciti, per un totale di 1,2 miliardi di dollari. Ma non è tutto: oltre alle richieste di risarcimento, l'azienda deve fronteggiare l'accusa di aver tenuto nascosti i dati che dimostravano per il farmaco un alto rischio di gravi effetti collaterali, tra cui il diabete, e di aver incoraggiato i medici a prescriverlo al di fuori delle indicazioni autorizzate. Il tutto complicato dal fatto che la società rivendica il diritto a tenere riservate le proprie informazioni, importanti ai fini industriali.
Diversa è stata invece la politica della Pfizer, che con una decisione a sorpresa ha interrotto improvvisamente la sperimentazione di quello che doveva essere il suo blockbuster: torcetrapib, una molecola che facendo alzare il colesterolo hdl, quello 'buono', si pensava potesse proteggere il cuore e i vasi. Invece sul campo si è verificato il contrario. E 24 ore soltanto dopo l'annuncio dello stop alla sperimentazione, il valore di mercato dell'azienda è crollato di 21 miliardi di dollari. Ma è probabile che questo sia stato il prezzo da pagare per risparmiare decine di migliaia di vite umane e altrettanti risarcimenti milionari.
Fonte: L'Espresso
0 commenti:
Posta un commento