domenica 3 gennaio 2010

Architettura e urbanistica partecipata

Not In My Back Yard (NIMBY), non nel mio cortile, è diventato l'acronimo inglese più abusato in questi ultimi anni. Viene ormai affibbiato a chiunque si opponga alla realizzazione di opere di qualunque tipo. Peccato che nella maggior parte dei casi si tratti di opere non condivise. Opere alla cui progettazione e pianificazione hanno partecipato uno sparuto gruppetto di persone disinteressate al luogo nel quale sorgerà. Spesso non si percepisce neppure il bisogno di tali opere.
I bisogni sono quasi sempre in contrasto tra chi vuole realizzare l'opera per motivi economici o di prestigio e chi invece avrebbe preferito altre realizzazioni per soddisfare bisogni ritenuti prioritari.
Singoli cittadini, gruppi organizzati in comitati, associazioni, spesso vengono accusati di rifiutare il progresso, di respingere il mutamento dei luoghi in cui vivono e di non rendersi conto di rimanere indietro nell'evoluzione. I cittadini vengono sempre di più accusati di non capire il valore di certe opere e oltre a non averli coinvolti fin da subito nella pianificazione e progettazione delle opere, vengono respinti con le Forze dell'Ordine se non addirittura con l'esercito.
Quanto detto si può riferire tranquillamente a quanto accade con gli impianti eolici, quelli nucleari, i rigassificatori, le discariche, gli inceneritori, le autostrade, le ferrovie, le antenne telefoniche. Ma in particolare mi riferisco al rapporto più stretto e diretto che dovrebbe esserci tra cittadino, Sindaco e amministrazione locale. Mi riferisco a quelle opere urbanistiche locali che più di ogni cosa influiscono sulla vita di tutti i giorni e più di ogni altra cosa dovrebbero essere oggetto di democrazia applicata e progettazione partecipazione.
In varie città d'Italia si assiste a comitati spontanei di migliaia di cittadini che respingono realizzazioni di opere progettate tra architetti e sindaci: Fuksas contestato per un grattacielo a Savona, Botta per il nuovo centro storico di Sarzana, il monumento di Toyo Ito a Pescara sono solo alcuni esempi.
Nel Medioevo e nel Rinascimento italiano, era consuetudine che duchi, nobili, re, imperatori e via dicendo, commissionassero opere stupefacenti. Opere di indiscusso valore artistico e architettonico, ma ad uso e consumo dei pochi dell'alta società e circondati da un contesto di degrado che risultava ininfluente agli occhi del committente. Quello che spesso accadeva era di ritrovarsi con un abitato formato di opere urbanistiche spettacolari circondate da degrado oppure da altre realizzazioni fuori contesto. L'alternativa, in piccoli contesti, era di adattare il circondario all'opera principale.
Oggi si assiste ad un ritorno al passato, fatto di opere progettate fuori contesto architettonico e urbanistico e senza alcun bisogno stringente. L'unica differenza è che non è più scontato chi sia il committente. Accade anche che siano gli stessi progettisti a proporre opere e soluzioni non richieste.
In questi anni, si è assistito ad un'urbanistica selvaggia, disomogena e non coerente con lo sviluppo delle città. I vecchi Piani Regolatori sono stati uno strumento spesso evitato, a volte mai approvato, a volte usato e capito male. Comunque quasi mai in sintonia con lo sviluppo dei servizi pubblici, del traffico, della mobilità e del lavoro.
Adesso tutto dovrebbe essere superato dal Piano di Governo del Territorio (PGT) che i legislatori hanno pensato bene, ma la cui applicazione reale subisce contrasti. Sono ad oggi pochissimi i comuni che lo hanno approvato seguendo l'iter previsto. Questo a causa delle continue deroghe alla data ultima per l'approvazione da parte di tutti. Adesso che la data ultima pare sia a marzo 2010, saranno molti i comuni che tenteranno la sua redazione e approvazione senza seguire l'iter, in particolare quello che prevede la partecipazione e il dialogo con i cittadini.
Il PGT è un documento importantissimo che prevede la pianificazione del territorio secondo il concetto urbanistico del Piano Regolatore, ma influenzato e pensato contemporaneamente ad un Piano del Traffico Urbano, un Piano della mobilità, un Piano sociale e del lavoro. In pratica serve a definire l'evoluzione nel futuro di un paesino o una città. E' per questo che i legislatori hanno previsto che venga realizzato con il coinvolgimento e la partecipazione attiva dei cittadini: si tratta del loro futuro. E' in un PGT che si definisce se certe opere hanno senso nell'evoluzione prevista.
Oggi, superare i Piano Regolatori tramite l'abuso dei Piani Integrati d'Intervento e non portare avanti secondo l'iter previsto l'approvazione dei PGT, vuol dire esprimere la volontà di tornare al Medioevo o al Rinascimento dove si realizzavano anche belle opere, ma spesso fini a se stesse, imposte e solo per pochi. Vuol dire non volere la democrazia.
In un prossimo articolo cercherò di dire quel che penso ci debba essere scritto nel PGT di Garbagnate Milanese. In poche parole.

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