venerdì 31 agosto 2007

Michael Moore Hospital

Il regista americano torna a far parlare di se: attacca il sistema sanitario statunitense portando dei malati a curarsi a Cuba. Un film più commovente e meno sarcastico dei precedenti.

Naturalmente abbiamo visto troppi serial ospedalieri alla televisione per non sapere che negli Stati Uniti chi non ha soldi né assicurazioni private non può farsi curare e per non recuperare qualche stima per i servizi sanitari nazionali inglese o italiano. Il nuovo docu-drama di Michael Moore, “Sicko”, sostiene che almeno 50 milioni di americani non hanno risorse sufficienti a ottenere cure ospedaliere in caso di necessità, confronta i diversi sistemi internazionali pubblici o privati d'assistenza ai malati, denuncia quale enorme affare ai danni dei cittadini sia la rete delle assicurazioni per la malattia. Fa rabbrividire.

Fa anche un'altra cosa. Carica su un grande motoscafo un gruppo di soccorritori dell'11 settembre 2001 a New York (familiari delle vittime, persone generose senza doveri né obblighi, anche pompieri). Le polveri del crollo delle torri gemelle ancora soffocano loro la gola, i polmoni, e le pratiche per ottenere assistenza gratuita sono lunghe, complesse. Moore li porta a curarsi a Cuba. All'Habana Hospital i malati sono contenti della calda accoglienza che ricevono, delle cure zelanti. Alla fine chiedono: "Quant'é?", l'infermiera risponde "Cinque cents" e loro si mettono a piangere di consolazione.

È l'episodio a causa del quale Michael Moore ha ricevuto denunce e ha procedimenti giudiziari ancora in corso: formalmente, per aver violato l'annoso embargo contro Cuba imposto dal governo americano; sostanzialmente, per aver mostrato che l'America con il suo capitalismo selvaggio non sa curare neppure i propri eroi civili, mentre a Cuba si assistono anche gli stranieri. “Sicko” è più commovente e popolare delle altre ammirate, premiate opere documentarie di critica sociale di Moore, “Bowling a Colombine”, “Fahrenheit 9/11”, ma è meno bello: per rispetto verso i malati e le loro famiglie manca il sarcasmo, mancano lo spirito grottesco e l'umorismo.

di Lietta Tornabuoni – L’Espresso

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Come colpo propagandistico è davvero eccezionale, come tutti quelli creati da Fidel, certo che la stessa ssistenza non è garantita, se non in teoria, ai cubani. E poi quanti sani si ammalano per far tornare sano un ammalato a Cuba? Forse i conti non tornano...

Unknown ha detto...

Non ci sono dubbi che quella di Moore è una provocazione nei confronti del sistema sanitario USA messo a confronto con l'antagonista politico per eccellenza. E' anche vero che Cuba non è un paradiso, ma pur sempre una dittatura.
Però la conclusione che se ne deve dedurre è che un gruppo di cittadini statunitensi non è riuscita a farsi curare in quella che si definisce la più avanzata democrazia del mondo, ma è riuscito a farsi curare in un paese con una dittatura dove molti servizi primari non sono garantiti.
Ecco perchè i conti non tornano.

Anonimo ha detto...

...e non torneranno mai... purtroppo ...

una disillusa

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