lunedì 19 novembre 2007

Moschee

Si fa sempre più infiammato – in Europa, ma soprattutto in Italia – il dibattito sulle moschee: permettere o no la loro costruzione? La risposta, ovvia, dovrebbe essere una sola: certamente. Proibire l’edificazione di luoghi di culto sarebbe illiberale, antidemocratico, intollerante. I musulmani non sono tutti terroristi, come non lo sono tutti i cattolici e i protestanti in Irlanda del Nord: e uno Stato democratico non può che rispettare tutte le fedi. Deve anche garantire l’ordine pubblico, certo. E alcuni centri islamici sono covi di pericolosi fondamentalisti. Quindi vanno tenuti sotto controllo. Ma è più facile controllare un luogo dove i fedeli celebrano i loro riti alla luce del sole, oppure uno clandestino, nascosto in qualche scantinato?
Alcuni ribattono: perché dovremmo concedere ai musulmani la possibilità di ergere moschee nel nostro Paese, visto che nel loro le chiese sono vietate? Il perché lo dice il buon senso. Primo: le chiese sono vietate soltanto in Arabia Saudita. Mentre Egitto, Marocco, Iran, Giordania, Turchia ne sono ricche. Bisognerebbe che anche in Arabia Saudita fosse consentito costruirle, naturalmente. Ma se il regime wahabita si dimostra intollerante (non soltanto con i cristiani, ma anche con le donne, che non possono neppure guidare la macchina), dovremmo abbassarci al suo livello?
Il Papa ha recentemente dichiarato che ogni religione va rispettata. E l’opposizione alla costruzione delle moschee non viene mai dal clero, bensì da gruppi politici alla ricerca del consenso degli xenofobi.
Chi si dice cattolico farebbe meglio ad ascoltare il Papa. Anche perché chi si scaglia violentemente contro le fedi altrui lo fa spesso per nascondere la fragilità della sua. Come i kamikaze, che bestemmiano il nome di Allah. E come certi cattolici intolleranti, che bestemmiano il nome di Cristo.

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