giovedì 28 febbraio 2008

Schiavi e civiltà di macchine umane

In un’intervista concessa alla Bbc, lo studioso Ray Kurweil parla di «una civiltà di macchine umane». «Usiamo la tecnologia - sostiene - per ampliare i nostri orizzonti fisici e mentali». La notizia è ripresa da la Stampa.it nella quale si legge: «Sono convinto - osserva Kurzweil, uno dei 18 cervelli scelti dalla U.S. National Academy of Engineering di Boston - che entro il 2029 avremo la tecnologia hardware e software per raggiungere il livello di intelligenza artificiale dell’uomo, con l’ampia flessibilità dell’intelletto umano anche nella sua dimensione emotiva».
Nell’attesa di questa rivoluzione, che è già in atto e diremo dopo perché, per un riflesso sinistro il pensiero vola ad un articolo di qualche giorno fa apparso sul Corriere della Sera. Nel quale si parlava dei 600mila nuovi schiavi presenti in Europa. Sono i ‘comprati’ che arrivano ogni anno e che si trovano «nei bordelli, agli incroci delle strade, nelle stanze fetide e senza sole o nelle discariche di mezzo mondo, sopraffatti dalla fame e dal degrado». Gli schiavi dei nostri giorni «sono soprattutto donne e bambini, pronti a soddisfare un mercato sempre più esigente e allargato (pedopornografia, sfruttamento sessuale, commercio di organi, lavoro forzato)». Nel mondo si contano 27 milioni di nuovi schiavi (fonte ONU) e come detto 600mila di questi sarebbero in Europa.
Forse l’accostamento delle due notizie potrà sembrare forzato, ma di fronte a questa realtà dell’oggi pensare ad una civiltà di macchine futura che ampli “i nostri orizzonti fisici e mentali” suscita in noi due riflessioni: la prima è che la tecnologia e la scienza medica potrebbero per esempio consentire all’uomo di domani di avere ‘pezzi di ricambio’ (cuore, fegato, polmoni, cornee ecc.) costruiti in laboratorio, cosa che almeno dovrebbe fermare il tragico traffico d’organi di cui troppo poco si parla. Le macchine in teoria dovrebbero anche servire per aiutare l’uomo nel lavoro, ma dire che questo servirà per mitigare lo sfruttamento del lavoro minorile ad esempio, ci pare improponibile. Sul resto delle problematiche evidenziate dal Corsera ci pare che la civiltà delle macchine umane ben poco aiuterà quelli che hanno veramente bisogno. La seconda, che è in parte una provocazione, è che se alle macchine, alle quali abbiamo da sempre chiesto risultati oggettivi a partire dai calcoli matematici, ora vogliamo dar loro anche “la dimensione emotiva dell’intelletto umano”, c’è poco da festeggiare.
Ragionando sui paradossi pensiamo allo sviluppo sostenibile per il quale la tecnologia è indispensabile. E in particolare la contabilità ambientale dovrebbe diventare in futuro uno strumento dell’economia e dei decisori politici ben più importante del Pil. Un computer che non solo elaborerà i dati incrociandoli, ma avrà anche una sua posizione soggettiva aiuterà i decisori politici oppure no? Forse sarebbero i “pc espiatori” del domani, sui quali appunto scaricare ogni responsabilità.
Nessuna avversione nei confronti della tecnologia, anzi, ma questa deve essere uno strumento nelle mani dell’uomo, non viceversa. Non dobbiamo diventare schiavi delle macchine che abbiamo costruito. Il punto è che non vorremmo già essere un bel pezzo avanti proprio su questa strada impervia: l’auto si dice già essere un prolungamento del nostro corpo, così come l’hard disck del computer è diventato il posto dove archiviare i ricordi ancor prima del nostro cervello, per non parlare dei telefoni. Secondo lo studioso di Boston, la società del 21esimo secolo si caratterizzerà per una tendenziale fusione tra esseri umani e tecnologia, ma se pensiamo agli arti artificiali, ai pace-maker, alle protesi, non è già così?
Quel gran visionario che è David Cronenberg aveva già anticipato tutto nel 1996 nel film Crash. Il regista canadese fuse ‘carnalmente’ l’auto con i personaggi della pellicola anticipando un tema che oggi è più che mai attuale. Fin dove può arrivare la tecnologia? Quali sono i suoi limiti? Non si può esaurire certo in un articolo di giornale un tema così vasto, l’osservazione finale che viene spontanea è che quando si parla di intelligenza artificiale dell’uomo da porre dentro una macchina, ci piacerebbe che quella stessa intelligenza l’uomo la sfruttasse a pieno impegnandosi in una riconversione della nostra società - possibile anche senza demandare tutto ai pc – per un futuro più sostenibile socialmente e ambientalmente.

Fonte: Greenreport

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