lunedì 10 marzo 2008

Fustino elettorale

Oggi le campagne elettorali si organizzano, come ormai affermano tutti i manager del settore, o su “idee-guida” valoriali, come è il caso dei political preachers statunitensi, o su issues che interessano direttamente la vita quotidiana dei cittadini.
Morte le ideologie, finite le grandi narrazioni storiche in cui si identificavano vasti gruppi di cittadini, cessata la protezione geopolitica che aveva fatto parlare Ronchey di un “fattore K”, la vendita delle scelte politiche è simile sempre di più alla campagna per la diffusione dei prodotti di largo consumo. Uso del “testimonial” (il leader politico, in questo caso) creazione di slogans forti e semplici, scarsa innovazione nella comunicazione, simbolizzazione di alcuni temi. Un partito politico si vende con le stesse tecniche del fustino di detersivo, che serve a tutti, è abbastanza anonimo, e comunque evoca messaggi rassicuranti e universali, niente affatto collegati alla funzione del detersivo, che è appunto quella di pulire. Inoltre, la comunicazione politica è, e deve essere, suadente e non creare associazioni negative o complesse, e deve parlare all’area pre-razionale dei sentimenti, delle pulsioni, delle abitudini.
Quel genio di Séguéla, che ha avuto l’unico torto di far incontrare Sarkozy e Carla Bruni, ha fatto vincere Mitterrand con lo slogan “la forza tranquilla”, ancora insuperato nella comunicazione politica. Non implica una attività da parte dello spettatore-elettore che deve sempre rimanere passivo, come invece il “we can” di Obama, ma ti sottopone il messaggio di un lento e piacevole abbandono a un padre buono, forte e autorevole. Poi, come diceva lo spin doctor di Tony Blair, “noi possiamo fare tutto, ma non possiamo creare il carisma”.
Nel caso della campagna elettorale italiana, abbiamo leaders che comunicano insieme troppi concetti (e spesso abborracciati, si vede che non sono statisti) oppure veicolano un eccesso di messaggi consolatori e edulcorati, che senza l’effetto carismatico “bambolizzano” come dicono gli spin doctors, l’elettore ma non lo fidelizzano. Compreranno subito un fustino di detersivo, ma non è detto che sia quello che produci tu. La sequenza di botte e risposte sulle issues, poi, depotenzia il messaggio e le rende poco credibili.
Il problema è che, nel marketing politico attuale, non si vende più un prodotto (la riforma universitaria, l’aumento delle pensioni, gli asili-nido) ma la certezza della capacità di risolvere i problemi. La moneta è comandata a Francoforte, e non da noi, i flussi di capitale arrivano da ben altre linee che non da Montecitorio, la divisione internazionale del lavoro si discute nei think tanks internazionali, che poi la inducono sui governi. Quindi, nessuno può più fare promesse, ma solo vendere l’aura magica della potenza e della credibilità di risolvere imprevisti problemi futuri.

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