Il gas, il petrolio e la democrazia
Il petrolio sopra i 100 dollari rischia di rendere tutte le strategie geopolitiche e le decisioni internazionali, comprese le decisioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, poco più di carta straccia. Anche perché in giro per il mondo ci sono sempre più protagonisti che approvano dichiarazioni altisonanti e poi concretamente fanno tutto il contrario.
Sembra proprio il caso della Russia che, dopo aver approvato (sebbene di malavoglia) il documento dei 6 grandi e le sanzioni Onu contro l’Iran riguardanti il nucleare, continua imperturbabile a fare affari con Teheran come se quegli impegni non esistessero.
Una delegazione di Gazprom capitanata da presidente Alexeï Miller si è appena accordata con le autorità iraniane per la partecipazione del monopolista del gas russo per «un progetto di produzione di petrolio in Iran ed alla messa in opera di due o tre blocchi del giacimento di gas South Pars». Secondo un comunicato di Gazprom, la delegazione russa ha esaminato con il ministro iraniano del petrolio Gholam Hossein Nozari, «le possibilità di promuovere la cooperazione tra Gazprom e le società iraniane nella sfera petro-gasiera. La prospezione e la messa in opera di giacimenti di petrolio e gas, le attività congiunte nel trasporto e la trasformazione di gas e gli studi di mercato sul gas sono stati citati come i principali assi di questa cooperazione», ricorda l’impresa statale russa, con tanti saluti alle minacce di sanzioni internazionali. L’accordo russo-iraniano sarà firmato entro due mesi.
Ma il piatto di cui si parla è troppo ricco per stare a pensare ai voti del Consiglio di Sicurezza ed alle fobie americane: le riserve di gas (conosciute) in Iran assommano ad oltre 28.000 miliardi di metri cubi, nel 2006 la produzione nazionale era di 105 miliardi di metri cubi ed il consumo interno di 105,1 miliardi.
Al di la delle petizioni di principio e di facciata, i russi non ci pensano nemmeno ad interrompere i rapporti commerciali con l’Iran: dal 1997 Gazprom partecipa, insieme alla francese TotalElf (40%) ed alla malese Petronas (30%), al progetto di gestione delle tranches 2 e 3 del giacimento South Pars, che forniscono é 20 miliardi di metri cubi di gas all’anno.
Intanto, alla settimana internazionale del petrolio in corso a Londra, i corteggiati ospiti d’onore sono i Paesi centro-asiatici dell’ex Urss, oggi nella Comunità degli Stati Indipendenti (Csi), che non sono proprio quel che si direbbe un bell’esempio di democrazia. Ma se il denaro non ha odore, il petrolio profuma, soprattutto quello di un Paese come il Kazakhstan che prevede di raddoppiare la sua produzione di petrolio, raggiungendo i 120-130 milioni di tonnellate entro il 2015, come ha annunciato il ministro kazako dell’energia e delle risorse minerarie, Liazzat Kiinov.
«Il Kazakhstan sta per diventare un grande esportatore mondiale di greggio – ha detto Kiinov – Pensiamo di aumentare le capacità del Caspian Pipeline Consortium facendole passare da 30 a 67 milioni di tonnellate all’anno. E’ prevista la messa in servizio del troncone Keniak-Koumkol chiamato ad legare gli oleodotti che passano dall’ovest e dall’est del Kazakhstan al fine di avviare il petrolio del mar Caspio verso le raffinerie della parte orientale del Paese ed esportare il greggio in Cina. Il governo kazako ha anche l’intenzione di raccordarsi all’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan», aprendosi così la strada verso l’Europa. Sempre a Londra ha annunciato che porterà al 40% la sua partecipazione nella produzione di gas.
Alla settimana internazionale del petrolio, è intervenuto anche il direttore finanziario di Novatek, il più grosso produttore “indipendente” russo di gas: «Novatek è oggi il più grande produttore di gas naturale dopo Gazprom – ha spiegato Mark Jetway - La sua produzione attuale è intorno al 29% della produzione nazionale e la società pensa di portarla al 40% entro cinque anni. Nel 2007, Novatek ha fornito 28,5 milioni di m3 di gas naturale e pensa di fornirne 45,8 milioni nel 2010».
Per Jetway, in Russia si stanno aprendo vasti spazi ai produttori indipendenti che, a differenza di Gazprom, non devono vendere il gas a prezzo fisso sul mercato interno. «Inoltre. La domanda crescente di gas naturale all’interno del Paese e all’estero offre alle società indipendenti nuove possibilità di esportazione. Per valorizzarle, esse negoziano l’accesso alla rete di trasporto. Nel medio periodo, l’aumento delle forniture gasiere russe sarà pressochè integralmente assicurato dai produttori di gas indipendenti e le compagnie petrolifere si installeranno sul mercato del gas».
Novatek possiede giacimenti nel distretto autonomo dei Yamal-Nenets, nella Siberia occidentale, la regione dove si estrae più gas naturale: più del 90% della produzione russa ed intorno al 20% di quella mondiale di gas.
Cifre che, di fronte alla fame di energia del pianeta, fanno impallidire ogni altisonante discorso sull’esportazione e la qualità occidentale della democrazia ed ogni minaccia di ritorsioni, sia che si parli del socialismo petrolifero bolivariano del Venezuela che dell’Iran o dei regimi autoritari dell’ex Urss. Nessuno, in questa congiuntura, e dopo le sanguinose lezioni ancora in corso di Iraq ed Afghanistan, sembra in grado di poter chiudere, con sanzioni o minacce di guerra, uno dei rubinetti del petrolio o del gas mondiali, anche se sono in mano ad irridenti caudillos, a mullah integralisti o ad inaffidabili satrapi asiatici.
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