venerdì 29 febbraio 2008

Piantare, ma non mangiare - 2

Segue da: http://gianlucaaiello.blogspot.com/2008/02/piantare-ma-non-mangiare-1.html

Ma non tutte le piante no food si comportano allo stesso modo, anzi. Alcune arricchiscono il terreno anziché impoverirlo.
La canapa è una coltura ammendante, nutre la terra lasciandovi più biomassa di quella che si elimina tagliandola. Ha una scarsa esigenza idrica e una stupefacente capacità di disinquinare i terreni rimuovendo i metalli pesanti. Anche la ginestra, il rosmarino, il ginepro, protagoniste di sperimentazioni, sono piante eccellenti perché spontanee e adatte ai nostri climi. « Le pioppete necessitano di un apporto di sostanze inquinanti minimo – conferma Marino Berton, presidente dell’AIEL –. Essendo cedue, poi, garantiscono un alto apporto di azoto dalle foglie che vengono perse stagionalmente, oltre che di materia organica. Le pioppete sono inoltre dei veri e propri boschi, preziosi polmoni verdi».
Colture per risolvere problemi importanti In linea generale, quindi, anziché sviluppare colture che richiedono grandi sforzi in termini di energia e di acqua, oltre che di pesticidi, concimi e organismi geneticamente modificati, avrebbe più senso concentrarsi su quelle in grado di risolvere problemi davvero importanti. Un esempio per tutti: le oleaginose, dalle quali si ottengono lubrificanti verdi, che sostituiti a quelli di sintesi farebbero davvero la differenza. E se è vero che l’acqua scarseggerà sempre di più, sarà poco conveniente continuare a coltivare piante come il mais, che ha bisogno di quantità di acqua spropositate: durante i mesi di luglio e agosto si sfiorano i 3.000 metri cubi per ettaro, con la conseguenza che nel nord Italia le falde acquifere sono scese di 100 metri. L’apporto aggiuntivo di tonnellate di azoto rendono il mais una coltura ancora più dirompente: l’eccesso di azoto rischia infatti di inquinare le falde acquifere per dilavamento.
Ciò che succede a livello comunitario è, ancora una volta, conseguenza della riforma della PAC (Politica Agricola Comunitaria) e del nuovo modello di assegnazione dei contributi. «I contributi non vengono destinati in base al risparmio di acqua che può comportare coltivare una pianta piuttosto che un’altra. L’unico parametro considerato è l’estensione: gli aiuti vengono assegnati cioè ad ettaro. L’unico prezzo da pagare, se si praticano colture che necessitano di pesanti trattamenti chimici, è la perdita del 20 per cento dei contributi PAC, valore poco incisivo per chi ha piantagioni di centinaia di ettari – spiega Roggiolani –. L’Europa è una vergogna in questo senso, siamo nella deregulation più profonda, mancano regole fisse, non c’è normativa sulle colture a più alta esigenza idrica. Addirittura, mancano linee guida specifiche sulla distanza fra le abitazioni e le colture a più alto impiego di pesticidi. Questa deregolamentazione coinvolge tutte le produzioni agricole, alimentari e non».
I disciplinari italiani nelle colture no food Anche in Italia lo sfruttamento dell’acqua è poco regolamentato: «L’agricoltura è il settore che più pesa sulla nostra bolletta idrica – spiega Ezio Todini, docente del dipartimento di Scienze della terra e geologico-ambientali all’Università di Bologna –. Ma non si fa nulla per migliorare la situazione: le concessioni idriche sono le stesse degli anni ’30 e ’40 e i sistemi di irrigazione sono ancora dispendiosi, a pioggia anziché a goccia».
Per quanto riguarda i pesticidi, diversamente da quanto verrebbe naturale pensare, l’uso di anticrittogamici e diserbanti nelle colture no food è regolamentato da disciplinari molto rigidi. Ciò che viene coltivato per scopi diversi dal consumo umano non contiene più pesticidi dei prodotti per l’alimentazione. Esemplare sembrerebbe il caso del tabacco.
«Quello italiano – spiega Carlo Sacchetto dell’APTI, Associazione Professionale Trasformatori tabacchi Italiani – è un prodotto controllatissimo. I disciplinari nazionali sono interi volumi con precisi riferimenti legislativi che orientano tutte le fasi della coltivazione, dalla scelta del seme alla lavorazione post-raccolta. I vincoli imposti richiamano i principi della social responsability, concetto fondato sul rispetto della salute dell’ambiente, dei lavoratori, dei consumatori. Ne deriva un prodotto, tra l’altro OGM free, ottenuto seguendo programmi di lotta integrata che consentono un uso ridotto e comunque controllato di agrofarmaci».
Nel mondo, però, le piantagioni di tabacco, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, sono note per l’impiego ingente di pesticidi utilizzati durante il ciclo di produzione. «Un ettaro di tabacco – commenta Roggiolani – contiene in media un valore in pesticidi pari a 220 volte quello presente in un ettaro di una qualsiasi altra coltura. Questo fa del tabacco una pianta poco amica dell’ambiente che detiene, insieme al cotone, il record mondiale di impiego di pesticidi».
Le tendenze del mercato e il contenimento dei costi L’agricoltura si muoverà necessariamente in base alla disponibilità delle risorse idriche e l’uso di pesticidi sarà certamente regolato in base alla convenienza: costano molto, al punto che per molti agricoltori sembra valga sempre più la pena di produrre un po’ meno, contenendo però i costi. Ma anche le tendenze del mercato saranno decisive per quelle che saranno le tendenze agricole, incluso l’ambito no food.
In Europa il prezzo del grano si è impennato e il prossimo anno è molto probabile che gli agricoltori si orienteranno verso queste coltivazioni, abbandonando il settore energetico del no food, assai meno remunerativo e ancora lontano dall’affermarsi. «L’aumento del prezzo dei prodotti agricoli, denunciato da molte associazioni dei consumatori come effetto dell’incremento delle colture non alimentari, è da imputare anche agli scarsi raccolti ottenuti nei paesi dell’est Europa, che costituiscono il granaio del vecchio continente – spiega Beppe Croce, referente nazionale del settore agricoltura no food di Legambiente –. La responsabilità dunque non è tutta e solo della competitività con i prodotti no food».
Difficile, allo stato attuale, prevedere il trend che caratterizzerà l’andamento delle colture alimentari e non in Italia e in Europa. L’allargamento della Unione ad altri 15 paesi potrebbe stravolgere ulteriormente gli scenari futuri. L’allarme lanciato recentemente dalla FAO sulla tendenza preoccupante a sottrarre terreni al cibo per coltivare piantagioni energetiche sembra per ora scongiurato, almeno nel nostro paese.

Fonte: Modus Vivendi

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