lunedì 5 maggio 2008

USA, amici e nemici

Cinque anni fa la guerra e poi, dal 9 aprile 2003, l’occupazione dell’Iraq.
Una guerra che continua e senza che per ora si intravveda una via d’uscita. L’unica speranza di qualche cambiamento potrà forse venire dal nuovo presidente degli Stati Uniti, che sarà eletto in novembre.
Ma la campagna americana sembra più incentrata sull’economia interna che sulla guerra in corso in Iraq e in Afghanistan, sebbene le spese militari incidano pesantemente sul bilancio americano. Perdite di dollari ma anche di vite umane: il 23 marzo scorso i soldati americani uccisi in Iraq hanno raggiunto la cifra di 4.000 più circa altri 200 di altre nazionalità, soprattutto britannici. La Gran bretagna avrebbe dovuto sganciarsi progressivamente dal sud dell’Iraq, ma il ritiro non ha potuto seguire i ritmi programmati e a Bassora restano ancora 4.000 soldati, invece dei 2.500 previsti. Proprio mentre è cessata la tregua proclamata qualche mese fa dall’esercito al Mahdi, la milizia armata del leader sciita radicale Muqtada al Sadr, che si scontra, non solo con le truppe di occupazione, ma direttamente con il governo di Nouri al Maliki.
Dopo cinque anni il bilancio è tragico: le vittime irachene non si contano nemmeno, si parla comunque di cifre impressionanti di centinaia di migliaia, la popolazione è al limite della sopportazione: l’elettricità manca per ore, a volte per giorni, si supplisce con i generatori, ma la maggior parte non se li può permettere perché il gasolio è caro e si trova solo al mercato nero. Senza elettricità non c’è acqua e quando finalmente arriva dal rubinetto esce di tutto, vermi compresi, perché molte tubature sono state inquinate dalle fogne, mancano il lavoro e la sicurezza. Gli unici in grado di riportare un minimo di sicurezza sono gli ex soldati di Saddam, che conoscono il terreno perfettamente. Quell’esercito che il proconsole Paul Bremer con una miopia estrema aveva sciolto al suo arrivo a Baghdad subito dopo l’occupazione. Con lo scioglimento dell’esercito, del ministero della Difesa, di quello dell’Informazione e del partito Baath, non solo Bremer aveva buttato sul lastrico centinaia di migliaia di lavoratori ma aveva provocato il collasso di un paese che precipitava nel caos e di cui gli USA non avrebbero mai più ripreso il controllo. I soldati armati e ben addestrati di Saddam avrebbero costituito la base dei gruppi della resistenza armata, cui si sarebbero aggiunte anche le milizie baathiste. In un paese a partito unico, come era l’Iraq, tutti i funzionari dello stato e delle imprese dovevano per forza essere iscritti al Baath. Questi quadri erano gli unici in grado di far funzionare un paese sottoposto da tredici anni a un regime di embargo, che impediva l’importazione di pezzi di ricambio. Anche gli impianti di estrazione del petrolio potevano funzionare solo con l’abilità di ingegneri che conoscevano alla perfezione le loro macchine e tutti gli espedienti per rimetterle in moto. Una volta cacciati o fuggiti per paura di rappresaglie, la situazione è precipitata.
Dopo cinque anni, il petrolio estratto è inferiore a quello che estraeva Saddam sotto regime di embargo: la risoluzione ONU oil for food permetteva l’esportazione di petrolio solo per importare cibo e medicine. Allora il cibo importato veniva distribuito in razioni mensili a tutta la popolazione: ora le razioni sono diminuite, mentre le condizioni della popolazione non sono migliorate. Mancano medici (molti, come altri esperti e intellettuali, sono fuggiti all’estero per le minacce dei gruppi armati che li considerano collaborazionisti) e medicine. Manca lavoro: le vedove sono costrette a prostituirsi e poi corrono il rischio di essere uccise. Il problema maggiore resta la sicurezza. Oltre due milioni di iracheni sono fuggiti in Siria e in Giordania, mentre altri due milioni sono sfollati all’interno del paese.
Il generale USA David Petraeus, ben sapendo che solo gli ex militari di Saddam avrebbero potuto riportare la sicurezza, ha fatto un accordo con alcuni gruppi – i consigli del Risveglio – fornendo loro armi e soldi perché ripulissero da al Qaeda soprattutto Baghdad. Anche i gruppi della resistenza, che pure in passato si erano alleati con al Qaeda, ormai hanno trovato questa presenza ingombrante e impopolare (i terroristi con il loro jihad uccidono quasi esclusivamente iracheni) e quindi hanno iniziato a combatterla. Questo ha riportato la calma in alcuni quartieri di Baghdad che però nel frattempo erano stati ripuliti etnicamente e isolati da alti lastroni di cemento. E i profughi che sono rientrati (pochi) con l’illusione del miglioramento della situazione spesso non hanno più ritrovato la loro casa, occupata da altri.
Comunque per ora l’accordo ha funzionato, ma fino a quando? In cambio i gruppi sunniti del risveglio hanno chiesto di essere reinseriti nell’esercito, ma il governo, a maggioranza sciita, si oppone. E i sunniti del sahwa (risveglio) non aspetteranno a lungo. Allora gli americani si ritroveranno di fronte gruppi da loro stessi armati.

Giuliana Sgrena

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