martedì 6 maggio 2008

Inquinamento farmacologico

Solo di antibiotici, in Europa, si consumano più di 10.000 tonnellate ogni anno, equamente spartite tra umani (52 per cento) e animali (48 per cento).
I fiumi e i laghi europei sono ricchi di principi farmacologicamente attivi: tutte le varietà degli antibiotici, con in testa le penicilline, ma non mancano i cardiovascolari – che del resto sono i farmaci più prescritti –, gli anticolesterolici, i farmaci per il sistema nervoso. Nelle acque del nord Europa abbondano gli antidepressivi ed i sedativi, al sud gli antibiotici. Ma nelle acque potabili di Milano è possibile rintracciare buone concentrazioni di Diazepam, diffuso ansiolitico. Mentre nel Po l’Ibuprofene, noto antinfiammatorio analgesico, presenta concentrazioni significative.
Da dove vengono queste sostanze e perché le ritroviamo ancora pressoché intatte nelle acque? Un ampio lavoro del Mario Negri di Milano chiarisce che il problema non è tanto quello dei farmaci scaduti o residui, che vengono malamente smaltiti gettandoli nella spazzatura invece che negli appositi contenitori. La componente fondamentale dell’inquinamento farmacologico deriva dalle urine e dalle feci degli assuntori di farmaci, animali e umani. La fonte dell’inquinamento sono quindi i pazienti, oppure quegli animali che vengono imbottiti di farmaci (che poi ci rimangiamo) non perché stanno male, ma per farli crescere di più e più rapidamente. L’organismo non metabolizza completamente gran parte dei farmaci. Anzi, ci sono alcune sostanze che vengono rilasciate, nelle deiezioni, praticamente tal quali e con le fognature vanno poi a finire nelle acque. Ma i depuratori? Anche quando ci sono e funzionano al meglio (e come sappiamo è raro) i grandi depuratori cittadini non sono in grado di smaltire i farmaci, le cui concentrazioni sono relativamente basse (al massimo si parla di microgrammi per metro cubo) ma estremamente attive. I farmacologi del Mario Negri riferiscono di un esperimento che mostra la pericolosità di queste miscele di medicine diluite in acqua. Usando concentrazioni simili a quelle ritrovate nelle nostre acque, i ricercatori hanno dimostrato che esse “sono in grado di esercitare, su cellule umane e animali in cultura, importanti effetti tossici sulla proliferazione cellulare. Effetti significativamente superiori a quelli esercitati dai singoli farmaci”. Insomma, questo cocktail ha effetti ben più negativi dei singoli principi attivi.
Che fare? Gli svedesi hanno messo a punto un modello per la classificazione dei farmaci in base alle loro caratteristiche ecotossicologiche, tradotto in un opuscolo distribuito a tutti i prescrittori di quel paese. In questo vademecum, il medico trova la tradizionale classificazione dei farmaci in base alla loro azione terapeutica e, accanto, trova anche la valutazione dei rischi ambientali legati al loro utilizzo. Per esempio, a parità di efficacia terapeutica, è possibile scegliere un antibiotico che lascerà minori tracce inquinanti di un altro. La Green Pharmacy è quindi una possibilità concreta che andrebbe introdotta nel nostro paese, così come un adeguamento tecnologico dei depuratori. Ma il punto davvero fondamentale è un altro. Si tratta di ridurre drasticamente il consumo di farmaci chimici, spesso inutili e dannosi: agli umani, agli altri animali e all’ambiente.

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