Le insalate in busta
Ogni giorno dobbiamo mangiare qualche vegetale crudo, per arricchire l’organismo di sostanze “vive”, come vitamine ed enzimi, e per dissetarci con un’acqua che più pura non c’è: quella contenuta nelle cellule dei vegetali, che sono composti, appunto, in altissima percentuale da acqua.
Le insalate, nella loro varietà, rispondono a questa esigenza, più sentita con la stagione calda. Ecco perché approfondisco il tema, sull’acquisto così come sul consumo. Inizio parlando di un settore merceologico che è cresciuto costantemente in questi anni: quello delle insalate in busta.
In effetti, permettono di preparare, senza scarti e in un attimo, contorni crudi di molti tipi. La lavorazione industriale delle insalate è un trattamento per certi versi simile a quello casalingo. Le verdure vengono mondate, selezionate e tagliate, quindi lavate e poi asciugate e confezionate. È fondamentale che venga ben curata l’igiene, così da abbassare la normale carica batterica presente sugli ortaggi e fare in modo che si conservino bene fino al consumo. Le fabbriche sono sottoposte ai controlli delle ASL, ma noi possiamo garantirci un vegetale con bassa carica batterica acquistando prodotti con data di scadenza lontana e mantenendo la catena del freddo.
L’insalata in busta, soprattutto se tagliata, è più soggetta ad una notevole crescita batterica, e senza il freddo i batteri aumentano rapidamente di numero. Per questo non vanno acquistate se non conservate in frigorifero e bisogna fare attenzione anche durante il trasporto dal negozio a casa.
Rispetto alla preparazione che subisce un’insalata acquistata in cespi, quelle pronte vengono di solito lavate dopo il taglio. Questo permette una pulizia più profonda ed efficace, ma provoca una perdita di sostanze nutrienti e di sapore, tanto più abbondante quanto più l’ortaggio è tagliato fine. L’effetto sarà meno importante, di conseguenza, per le insalate che restano con le foglie intere (come il lattughino o la rucola).
Quanto al classico dubbio: la rilavo oppure no? Bisogna innanzitutto leggere le indicazioni in etichetta: i produttori sono i primi a sapere che tipo di lavorazione ha subìto il loro prodotto, e quindi consigliano i trattamenti necessari.
Per tutti i pigri o quelli che hanno davvero poco tempo in cucina, le insalate in busta sono, effettivamente, un gran risparmio di tempo. Non lo stesso, però, si può dire per il lato economico. Calcolati anche i normali scarti degli ortaggi acquistati sfusi, i prezzi di questi prodotti risultano circa doppi, ma in alcuni casi – soprattutto se la confezione è piccola – si può arrivare al triplo rispetto agli stessi ortaggi al banco del fresco.
Altro neo, non secondario, è la diminuzione delle capacità antiossidanti delle insalate conservate in busta.
C’è infine un’indicazione fondamentale da dare: preferite le insalate da agricoltura biologica (o, in seconda istanza, da agricoltura integrata). Si tratta, infatti, di vegetali tra i più trattati, con fertilizzanti come i nitrati e numerosi antiparassitari. Oltretutto, i residui sono presenti in modo massiccio sulle foglie più esterne, quelle che invece andrebbero preferite, anche se un po’coriacee, perché più ricche di vitamine e sali minerali.
Per quanto riguarda il consumo, per le insalate vale lo stesso principio che troviamo alla base della sana alimentazione: variare, non fossilizzarci in un gusto ma dare spazio al maggior numero di varietà. E, per quanto riguarda poi la preparazione delle “insalatone”, che spesso fanno da piatto unico, c’è una regola da seguire, se si vuol digerire bene: non più di una fonte proteica, soprattutto se di origine animale. Quindi no uova e prosciutto, o tonno e mozzarella.
Fonte: Modus Vivendi
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