Assassinii in calo
Sperando che il Censis non passi per una pericolosa associazione sovversiva che spaccia controinformazione a piene mani, lo studio che il Centro ha fornito direttamente dal suo sito ribalta – tanto per cambiare – alcuni luoghi comuni. Partiamo dal titolo tanto per capire di che cosa stiamo parlando: «Numero di assassinii in calo e più basso che in Europa, si muore 2 volte di più sul lavoro e 8 volte di più sulle strade».
Proprio mentre l’esercito italiano presidia diverse città lungo lo stivale e una larga parte della nazione si ritiene in pericolo per sé e per la propria famiglia, arrivano i numeri ufficiali e qualcuno dovrebbe renderne anche conto: «Gli omicidi in Italia – udite udite cosa dice il Censis - continuano a diminuire. In base ai dati delle fonti ufficiali disponibili elaborati dal Censis, sono passati da 1.042 casi nel 1995 a 818 nel 2000, fino a 663 nel 2006 (-36,4% in 11 anni). Sono molti di più negli altri grandi Paesi europei, dove pure si registra una tendenza alla riduzione».
Non solo, anche rispetto alle grandi capitali europee, nelle città italiane si registra un numero minore di omicidi. Nel 2006 a Roma si sono contati 30 casi, quasi come Parigi. E’ una bella notizia? No, ma un conto è dire che questa è la situazione data e su questo si deve lavorare, un altro è enfatizzare alcuni episodi per far diventare un caso planetario l’Italia quando non lo è per giustificare azioni discutibili che anche l’UE, con grande stizza da parte di Maroni, ha definito al limite della xenofobia.
Anche perché i numeri sui quali intervenire con altrettanta forza se non di più, sembrano essere altri: spiega infatti il Censis che quelli forniti sono «piccoli numeri se paragonati alle morti sul lavoro». Nel 2007 sono stati 1.170 i decessi per motivi di lavoro in Italia, di cui 609 in infortuni «stradali», ovvero lungo il tragitto casa-lavoro («in itinere») o in strada durante l’esercizio dell’attività lavorativa. L’Italia è di gran lunga il Paese europeo dove si muore di più sul lavoro. Se si escludono gli infortuni in itinere o comunque avvenuti in strada, non rilevati in modo omogeneo da tutti i Paesi europei, si contano 918 casi in Italia, 678 in Germania, 662 in Spagna, 593 in Francia (in questo caso il confronto è riferito al 2005).
I numeri crescono ancora se si considerano le vittime degli incidenti stradali. Nel 2006 in Italia i decessi sulle strade sono stati 5.669, più che in Paesi anche più popolosi del nostro: Regno Unito (3.297), Francia (4.709) e Germania (5.091). Gli altri Paesi hanno fatto meglio di noi negli interventi tesi a ridurre i decessi sulle strade.
Nel 1995 – continua il Censis e a proposito di esempi virtuosi da seguire - la Germania era «maglia nera» in Europa, con 9.454 morti in incidenti stradali, ridotti a 7.503 già nel 2000, per poi diminuire ancora ai livelli attuali. Nel 1995 in Francia i morti sulle strade erano 8.892, ridotti a 8.079 nel 2000, per poi diminuire ancora ai livelli attuali. La riduzione in Italia c’è stata (i morti erano 7.020 nel 1995, 6.649 nel 2000, fino agli attuali 5.669), «ma non in maniera così rapida, tanto da diventare il Paese europeo in cui è più rischioso spostarsi sulle strade».
Si muore di più – prosegue il Centro studi - durante le attività ordinarie che non a causa della criminalità o di episodi violenti. I morti sul lavoro sono quasi il doppio degli assassinati, i decessi sulle strade 8 volte più degli omicidi. Tuttavia, «gran parte dell’attenzione pubblica si concentra sulla dimensione della sicurezza rispetto ai fenomeni di criminalità».
«Gran parte dell’impegno politico degli ultimi mesi - osserva Giuseppe Roma, direttore generale del Censis - è stato assorbito dall’obiettivo di garantire la sicurezza dei cittadini rispetto al rischio di subire crimini violenti». «Tuttavia – prosegue - , se si amplia il concetto di incolumità personale, e si considerano i rischi maggiori di perdere la vita, risalta in maniera evidente la sfasatura tra pericoli reali e interventi concreti per fronteggiarli. Il luogo di lavoro e la strada mancano ancora di presidi efficaci per garantire la piena sicurezza dei cittadini, e spesso si pensa che perdere la vita in un incidente stradale sia una fatalità. I dati degli altri Paesi europei dimostrano che non è così».
Chi cerca di non farsi influenzare dal vento che tira, sa quanto questa differenza tra rischio e percezione del rischio investa fortemente anche tutto quello che concerne il rapporto uomo-ambiente. Di esempi se ne possono fare a bizzeffe partendo dalle pale eoliche che lanciano il ghiaccio con il rischio che uccidano le persone che vi passano nelle vicinanze (non è uno scherzo), notizia che può avere più rilevanza del radon che invece è la seconda causa di morte per tumore al polmone; oppure l’attenzione maniacale per ogni sforamento di emissione di qualche impianto di trattamento di rifiuti con richieste di misurazione dei nanogrammi per poi soprassedere su discariche abusive, rifiuti speciali e pericolosi che non si sa dove vanno a finire o emissioni dei gas di scarico delle auto che superano di gran lunga tutte le altre. Insistere su un solo aspetto del problema pensando che risolto quello si è risolto tutto, finisce per ottenere il risultato opposto.
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