giovedì 9 ottobre 2008

Il tabù del razzismo

La parola razzismo spaventa, ma deve essere pronunciata, ha scritto molto giustamente Stefano Rodotà su Repubblica di qualche giorno fa. Deve essere pronunciata anche perché questa, solo questa, è la parola che riesce a descrivere quello che sta succedendo con sempre più frequenza nelle nostre città. Ovviamente, non è razzista la città di Milano o la città di Roma - razzisti sono gli individui quando usano un linguaggio che offende gli altri, i diversi. Negli anni ‘60 erano razzisti molti italiani del Nord verso gli italiani del Sud - ancora oggi, tra il lessico razzista in uso presso i leghisti, è facile trovare la parola "terrone". Gli italiani del Sud erano allora l’equivalente dei neri di oggi: fatti oggetto di parole offensive e denigratorie.
Non è necessario che al linguaggio segua la violenza perché ci sia razzismo e perché ci sia comportamento violento. Il linguaggio può fare violenza oltre che istigare alla violenza. È una forma di violenza che è prima di tutto un modo di pensare che riceve energia dalla pigrizia mentale. Il pregiudizio (del quale il razzismo si alimenta), vive della faciloneria, perché è poco faticoso associare molte persone sotto un’unica idea: tutte insieme senza distinzioni individuali, solo perché nere o asiatiche o musulmane. Al razzista questi aggettivi dicono da soli tutto quello che egli vuole sapere senza fare alcuno sforzo ulteriore di conoscenza, osservazione, distinzione, analisi. «Sei nero, allora sei anche A, B, C». Questa faciloneria rende il razzismo un codice di riconoscimento: i razzisti vanno d’accordo, si riconoscono e si attraggono; rinforzano le loro credenze a vicenda e accorgendosi che non sono soli a pensare in quel modo concludono che hanno ragione, perché la maggioranza ha ragione. Proprio perché genera emulazione il razzismo è facilmente portato a espandersi; l’atteggiamento razzista non è mai "un fenomeno isolato" perché se una persona ha il coraggio di rivelarsi razzista in pubblico è perché sa di poter contare sull’appoggio dell’opinione pubblica. Ecco perché quando si legge un commento di un fatto di razzismo che si tratta di "un fenomeno isolato" si resta allibiti: perché il commento è sbagliato e figlio della stessa faciloneria di chi ha commesso il fatto.
Il linguaggio può essere usato per deumanizzare o onorare, per spogliare della dignità o per dare dignità. Per stimolare comportamenti violenti o comportamenti civili. Per questa ragione tutti coloro che svolgono servizi di responsabilità collettiva, dai politici agli insegnanti ai giornalisti agli operatori dello spettacolo, devono sentire tutta la gravità del loro ruolo: perché le loro parole circolano più estesamente e velocemente di quelle di tutti gli altri cittadini e perché essi creano modelli di comportamento.

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