Le voci fuori dal coro
La semplificazione del quadro politico alle ultime elezioni e l´ampia investitura popolare ottenuta dal Pdl (e di conseguenza dal Governo del Presidente Berlusconi) ha posto nel Paese la questione del rapporto tra democrazia rappresentativa e democrazia di opinione. Il dibattito può assumere anche toni drammatici quando, invocando l´estesa legittimazione popolare al Governo in carica, si mette in dubbio la possibilità altrui di esprimere opinioni e critiche sull´operato del Governo. Quando poi gli attacchi vanno dritti contro un giornale e si dissente sul diritto all´opinione diversa e alla critica (non verso le istituzioni, ma verso le idee e le azioni che uomini delle istituzioni esprimono), è legittimo chiedersi se non sia in atto un ritorno all´autoritarismo, che disprezza il principio dell´uguaglianza delle idee, almeno nella loro possibilità di esprimersi.
In Italia la gente ha una concezione sempre più leggera della democrazia rappresentativa. Sembra che basti solo assolvere al dovere del voto. E i politici (soprattutto quelli «nuovi», quelli che non provengono da una lunga formazione, ma dalle scuole del marketing), ritengono che i cittadini abbiano firmato loro una delega in bianco. Siamo al paradosso che, proprio oggi, quando la politica sembra aver preso il sopravvento su molte altre attività (al punto che tutti ci si buttano), la partecipazione invece cala. E´ vero che la democrazia rappresentativa si risolve nella delega. Ma essa è intesa in maniera così forte dall´attuale classe politica (al governo e all´opposizione), che ha relegato in soffitta la democrazia di opinione. Siamo così all´antipolitica, che non è quella di Grillo o dei girotondi, ma quella della politica intesa come mercato della soddisfazione dei desideri.
L´eterna transizione cui è costretta l´Italia almeno da 15 anni e la promessa reiterata di vere riforme che non arrivano mai, hanno tolto credibilità alla politica e rafforzato chi, nella politica, vede un teatro da calcare con le sue truppe ordinate e ubbidienti a ogni ordine, senza discutere. Vale a destra come a sinistra. In un quadro simile, la partecipazione e, dunque, la democrazia di opinione spariscono.
Né il riconoscimento maggiore del leader serve ad aumentare la partecipazione. Lo dimostrano le continue incursioni di Berlusconi nelle piazze tra la gente che vive drammaticamente problemi seri, quasi volesse non tanto rassicurarla, ma rassicurare se stesso di averla (la gente) sempre vicina. In realtà, nessuno sa veramente quel che pensano i cittadini, al di là del vecchio e, talora, obsoleto metodo dei sondaggi. Neppure a livello amministrativo c´è più passione per la «cosa pubblica». Non ci si interessa nemmeno del proprio marciapiede o dell´autobus che non passa. In democrazia le opinioni devono contare. Infatti, se cala la partecipazione e, al tempo stesso, non si ammettono critiche, il rischio di scivolare verso una forma oligarchica e autoritaria è davvero grande.
Oggi si tende a semplificare cose complesse, con risposte ai bisogni che saranno necessariamente inefficaci sul medio e lungo periodo, anche se al momento sono allettanti. Ciò che accade attorno al pacchetto sicurezza, alla questione immigrazione, ma anche sui temi della giustizia, lo dimostrerà. La parola più indicata per definire tutto ciò è populismo, che insegue e accarezza i desideri.
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