martedì 16 dicembre 2008

Social card: un affare per chi?

Il ministero dell'Economia ha presentato la social card, tesserina magnetica prepagata che era già stata annunciata la scorsa estate e che dovrebbe avere funzione di supporto per i meno abbienti. I soldi contenuti nella social card possono infatti essere spesi per pagare le bollette di luce e gas, e per comprare generi alimentari presso i negozi convenzionati che espongono l'apposito cartello. Ma ben pochi ne beneficeranno, e il costo per lo Stato va ben al di là di quel che finisce nelle tasche dei cittadini.
Per i pensionati il provvedimento vale per chi singolarmente guadagna al massimo 6.000 euro (8.000 per gli over 70), considerando tra questi tutti i redditi, anche quelli assistenziali che generalmente non sono considerati ai fini fiscali. Ma attenzione, l'ISEE prodotto dalla famiglia di cui si fa parte deve essere di 6.000 euro. Di conseguenza parliamo, ad esempio, di famiglie in cui due pensionati guadagnano complessivamente al massimo 723 euro netti al mese, che diventano ben 923 euro se hanno un figlio a loro carico. La persona interessata deve possedere al massimo una casa, che per non modificare l'ISEE deve essere entro i 51.000 euro di valore catastale, un conto corrente con al massimo 15.000 euro di risparmi e un'auto. Ma attenzione, se la famiglia possiede un box, perde il diritto alla social card.
Le famiglie con bambini con meno di 3 anni, che possono beneficiare di una ricarica della social card per ogni figlio, non se la passano comunque meglio. Non c'è più il limite di reddito personale di 6.000 euro, ma per ottenere la social card (famiglia di quattro persone) non bisogna guadagnare più di 1.131 euro netti al mese totali.
Ovviamente se si ha ancora un mutuo da pagare o si è in affitto i redditi netti riescono a essere un po' più alti grazie al valore ISEE che si abbassa.
La social card è utilizzabile per pagare le bollette di luce e gas e per comprare prodotti alimentari nei negozi convenzionati. Il vero problema è che, come ha riconosciuto anche il Governo, solo il 5% dei commercianti ha aderito all'iniziativa, forse perché la paura dei tempi (in media 200 giorni) di rimborso dello Stato ha giocato un ruolo fondamentale nella decisione.
Inoltre, le categorie merceologiche individuate dal Ministero sono limitate a panifici, latterie, macellerie, spacci, drogherie e supermercati (quindi piccole catene), dove i prezzi medi non sono certo quelli delle grandi catene di distribuzione. Questo vincolo di categoria limita di molto la possibilità di utilizzo, soprattutto per i pensionati, che hanno poche possibilità di spostamento: di conseguenza il reale utilizzo viene limitato al pagamento delle bollette, che garantisce (è un caso?) il maggior ritorno in termini di IVA e accise allo Stato. La scelta della tessera di plastica, poi, è stata giustificata dal Ministero per riconoscere agli utilizzatori sconti sulla merce, tuttavia, essendo i prezzi medi degli esercizi convenzionati mediamente più alti, gli sconti di fatto produrrebbero nel migliore dei casi solo un livellamento dei prezzi a quello già normalmente praticato dalle grandi catene.
Il Ministero ha detto che allo Stato la social card costerà 450 milioni di euro annui a regime e che ne beneficeranno 1,3 milioni di italiani. Quindi, poiché entro dicembre daranno la prima tranche di 120 euro, i conti sono presto fatti: il costo entro dicembre è di 156 milioni di euro. In pratica, entro dicembre 2009 il Governo stima di spendere 606 milioni di euro per la social card. Che sono coperti da stanziamenti dello Stato ancora in fase di discussione per 650 milioni e da 200 milioni già donati da Eni e dai 50 milioni donati da Enel. Questi ultimi due soggetti in realtà daranno la possibilità allo Stato di recuperare parte degli investimenti grazie a quello che i consumatori spenderanno con la social card per pagare le bollette di luce e gas, sulle quali come ben sappiamo l'incidenza dell'IVA e delle accise è decisamente elevata. Ma la social card non è a costo zero per lo Stato, infatti, oltre a quello che finisce nelle tasche dei pochi italiani che rientrano tra i meritevoli di aiuto, ci sono i costi relativi allo strumento stesso.
Parlo dei costi di produzione della tessera, di circuito, di pagamento e di ricarica. La produzione fisica della tessera costa circa 50 centesimi a pezzo, quindi già 650 mila euro sono stati utilizzati. Il circuito di pagamento chiede una percentuale all'esercente, che in media è circa del 2% del pagamento stesso. Quindi, auspicando a una compartecipazione dell'esercente alla spesa, sono, a essere ottimisti, altri 6 milioni di spesa statale. Per quanto riguarda la ricarica, le commissioni normalmente applicate dalle Poste non sono certo esigue perché ammontano a 1 euro a ricarica. Quindi per ogni carta sono 6 euro annui che lo Stato dovrebbe pagare: in ogni caso, applicando ad esempio un costo di 10 centesimi a ricarica, lo Stato comunque versa a Poste italiane circa 800 mila euro in un anno.
Tirando le somme, senza considerare i costi delle lettere inviate agli italiani (ancora una volte le Poste ringraziano), circa 7,5 milioni di euro si perdono lungo il tragitto che porta i 40 euro al mese nelle tasche delle famiglie. Sarebbe stato meglio un trasferimento diretto, tramite pensione o busta paga.

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