giovedì 19 marzo 2009

Informazione italiana e gli USA

Fonte: Il manifesto - Gianni Minà

Certo, ora che la realtà viene a galla, così meschina, così feroce, è sconcertante scoprire che, salvo alcuni casi, l'atteggiamento dell'informazione non è cambiata. Ignorare, eludere, queste notizie continua a essere la linea dei media occidentali, specie in Italia dove è passato sotto silenzio perfino l'inquietante lavoro di lobby che il presidente Bush nell'estate del 2006 fece con i senatori repubblicani McCain, Warner, Graham e Collins, compagni di partito che, assaliti evidentemente da un sussulto di coscienza, si opponevano all'approvazione della legge che avrebbe autorizzato la tortura, ora subito sospesa da Barack Obama.
Una storiaccia senza morale che avrebbe meritato, allora come adesso, uno straccio di editoriale, due righe di commento, delle penne democratiche del nostro paese o della satolla Europa. Ma la latitanza morale dei più prestigiosi editorialisti e commentatori tv diventa ancor più colpevole quando, meno di una settimana dopo, è arrivata la notizia che Bush Jr. aveva trovato un accordo con i senatori «ribelli». Ribelli a che cosa? Al cinismo e all'ipocrisia della nazione guida delle democrazie occidentali?
Eppure le conclusioni preliminari dell'inchiesta amministrativa in corso sono esplicite: «L'intero progetto di ricostruzione in Iraq è stato un pieno fallimento. Si è passati da una guerra lampo all'idea di mettere insieme uno stato dalle fondamenta, senza avere un progetto degno di questo nome alle spalle. La Coalition Provisional Authority ha dato prova di cattiva gestione, di assoluta mancanza di controllo, spalancando le porte ad ogni tipo di attività criminale».
Sono parole che mi fanno venire in mente il bellissimo documentario Ma dove sono finiti i soldi del giovane medico e giornalista iracheno Ali Fadhil, trasmesso all'epoca alle undici di sera a C'era una volta, il programma di Rai Tre di Silvestro Montanaro, dove si vedevano i marines durante le operazioni di scarico di un aereo in Iraq prendere a calci, come se giocassero a football, i sacchi di dollari inviati per la «ricostruzione».
Norma Rangeri, nella rubrica sui programmi televisivi che tiene sul manifesto, si domandò giustamente perché nemmeno una di quelle immagini fosse stata mostrata in un telegiornale e, aggiungo io, nemmeno nei programmi di Vespa, Ferrara, Mentana, Santoro, Floris e Piroso.
Purtroppo i giornalisti liberali o riformisti, come si dice ora, sono in Italia, tendenzialmente, distratti o servili. Non provano nemmeno il disagio che Barack Obama ha espresso già il giorno successivo al suo insediamento, quando ha deciso di chiudere il lager di Guantanamo, fermare le commissioni militari, veri illegali tribunali speciali che vi agivano e mettere al bando l'uso della tortura da parte della Cia. Insomma, tentando di smontare alcuni dei passaggi più inquietanti della politica di Bush Jr. Anzi al Corriere ultimamente non nascondono la loro antipatia per le scelte di Obama. Da noi gli otto anni nefasti di W., che Oliver Stone, il regista di Platoon, Nato il 4 luglio e JFK, ha accusato pubblicamente di «aver infranto ogni limite morale», hanno trovato eco solo recentemente nella rubrica del critico televisivo del Corriere della Sera.
Aldo Grasso si è offeso perché Miguel d'Escoto, antico combattente per i diritti dei più poveri e degli esclusi, prete sospeso a divinis dal Vaticano, aveva accettato l'incarico di ministro degli esteri dell'esausto Nicaragua sandinista, scampato alla guerra sporca dei contras, le milizie del dittatore Somoza, sostenute dal presidente Usa Ronald Reagan, si era augurato, in un collegamento con il Festival di Sanremo, di poter superare l'isolazionismo che aveva caratterizzato la politica nordamericana negli anni della presidenza di Bush Jr.
D'Escoto parlava da New York come presidente (eletto per il suo prestigio internazionale) della 63a sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, estemporaneamente intervistato da Paolo Bonolis in una di quelle iniziative spericolate della tv generalista, quando vuole dare prestigio a un programma nazionale e popolare.
Aveva affermato d'Escoto: «O ci amiamo o affondiamo tutti (...) Cogliamo, con l'aiuto della musica l'occasione di rinnovare lo spirito per lottare tutti insieme per un mondo migliore», accenando alla speranza di superare l'atteggiamento non collaborativo dell'America di Bush nei riguardi delle Nazioni unite.Ma tanto era bastato al critico del Corriere per sollecitare addirittura le alte cariche dello Stato italiano a chiedere scusa agli Stati uniti. Scusa di che, Aldo Grasso? Se è vero, come è vero, che d'Escoto ha affermato una verità inconfutabile, specie per un cittadino di un paese latinoamericano, massacrato dalla «guerra sporca» benedetta trenta anni fa da Ronald Reagan?
Questa purtroppo è la nostra informazione. Tutte le notizie non gradite agli Stati uniti, o che sottolineano una loro sconfitta materiale e morale, vengono eluse, evitate, respinte, quasi fosse il pedaggio da pagare ancora ai vincitori della seconda guerra mondiale, per antonomasia indiscutibili, democratici e liberatori.Invece, le «gesta» dei nordamericani, nell'ultimo mezzo secolo, sono state spesso anche scorrette, egoiste, poco eroiche. Dalla guerra in Vietnam, per di più persa miseramente, al crudele Plan Condor, voluto dal presidente Nixon e dal segretaio di stato Kissinger per coordinare fra loro le dittature militari latinoamericane degli anni '70, e aiutarli ad annientare tutte le opposizioni progressiste del continente, fino alla guerra in Iraq.
Quando si verificano eventi così inquietanti c'è, in Italia, una sorta di consegna del silenzio, una fuga dalla realtà.
Per capire con quale superficialità vengono spesso decisi i nostri destini c'è voluta, per esempio, la testardaggine di Oliver Stone, un vecchio cacciatore di documenti inoppugnabili, che diventano sceneggiature di indimenticabili film di denucnia. Questa volta, raccontando nel film W., le «imprese» del Presidente degli Stati uniti negli anni in cui è crollato anche il muro del capitalismo, si può permettere perfino il lusso di essere magnanimo e di leggere il catastrofico bilancio del suo governo come la frustrazione di un piccolo uomo schiacciato dalla figura del padre, che fu direttore della Cia, vice presidente di Reagan e poi, a sua volta, presidente.
Tutto questo però senza dimenticare di sottolineare la follia di una politica avida, corrotta e guerresca, che solo la malafede della nostra informazione ha continuato pervicacemente a ignorare.

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