Una nuova rivoluzione industriale
Provate a mettere in fila questi dati. 1 - più di un quarto dell'anidride carbonica, il gas serra che rischia di cuocere il pianeta, viene dalla produzione di elettricità. 2 - oltre metà delle centrali elettriche attualmente in funzione nel mondo ha più di vent'anni. Bisogna rimpiazzarle e costruirne di nuove, visto che si prevede che la domanda globale di elettricità aumenterà del 50 per cento da qui al 2030. Infatti, l'AIE, l'agenzia per l'energia dell'OCSE, l'organizzazione che raccoglie i paesi industrializzati, prevede che bisognerà investire, nello stesso periodo, 7.500 miliardi di euro per costruire queste centrali. 3 - un quadrato di pannelli solari di 250 chilometri di lato, piazzato nel Sahara, sarebbe in grado di fornire, dicono gli esperti, tutta l'elettricità di cui il mondo ha bisogno. Altri esperti dicono che il vento può dare un decimo dell'energia mondiale. Insomma, c'è una montagna di quattrini da investire presto nella produzione di elettricità, ma le nuove centrali potranno essere sempre meno quelle tradizionali e sempre più quelle alternative, perché bisogna ridurre le emissioni di anidride carbonica. C'è già chi ha messo in fila questi dati ed è giunto alla conclusione che l'effetto serra è una gigantesca calamità, ma, proprio per questo, anche una straordinaria opportunità. Il risultato è importante. Perché chi teme che gli appelli degli scienziati e il volatile effetto panico che destano nell'opinione pubblica non siano sufficienti ad evitare che la "rivoluzione verde", anti-CO2, sia solo una moda passeggera, può rasserenarsi. C'è al lavoro un meccanismo assai più solido, ripetutamente testato nei secoli: un numero sempre più ampio di persone si sono accorte che, nella "rivoluzione verde", c'è da fare un bel po' di soldi. Quanti? Nessuno, per ora, si aspetta che, ad esempio di quei 7.500 miliardi di euro di nuove centrali, più di un rivolo vada a fonti come il sole e il vento. Ma, quando la torta è molto grossa, anche le briciole sono cospicue. Come stanno facendo Sergei Brin e Larry Page, i padroni di Google, che non hanno dubbi che la storia si ripeterà: "Il cleantech è basato sull'innovazione scientifica e tecnologica, è promosso da imprenditori, è frammentato come Internet". Del resto, non sono solo i profeti del venture capital a parlare di una quarta rivoluzione industriale, dopo quelle del vapore, dell'elettricità e del computer. Lo proclamano i documenti della UE e dei governi: il salto tecnologico connesso all'energia pulita può dare una spinta paragonabile a quella degli anni '90 alla produttività e all'economia. Il rapporto della Allianz parla di centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro, di un'industria ambientale che fornisce alla Germania un contributo paragonabile a quello dell'auto nel secolo scorso. Dieci anni fa, la rivoluzione informatica ha sconvolto le gerarchie dell'economia mondiale, facendo sembrare dinosauri i colossi di allora e portando alla ribalta giganti del tutto nuovi, come Microsoft e Google. Anche la possibile rivoluzione dell'energia pulita si apre su un terreno ancora inesplorato, dove non esistono ancora rendite di posizione, gerarchie precostituite, giganti che precludano l'accesso e dove una singola invenzione fortunata può creare un protagonista dalla sera alla mattina: il grosso degli attori sono facce nuove al grande business e le multinazionali sono, spesso, all'inseguimento dei nuovi venuti. A differenza dell'informatica, però, non sono gli americani, oggi, a dominare il cleantech. Il 20 per cento del mercato delle tecnologie ambientali è in mano ai tedeschi. Nelle classifiche degli attori più importanti spiccano, con i tedeschi, danesi, spagnoli, cinesi, indiani, spesso davanti agli americani. E gli italiani? ZERO: in questa partita ancora non ci siamo.
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