Fusione Nucleare - 1
Il reattore sperimentale per la fusione nucleare si farà. Secondo le migliori intenzioni dei promotori, da qui a trent’anni avremo energia abbondante da impianti sicuri, che producono rifiuti poco pericolosi per l’ambiente. Chi non ci metterebbe subito la firma?
Il progetto ITER è pronto da ventidue anni ma il reattore esiste solo sulla carta. Ad ipotizzarlo nel 1985 fu Michail Gorbaciov, quando ancora era presidente dell’Unione Sovietica. Lo propose a Ronald Reagan, presidente degli Stati Uniti. All’epoca la sigla significava International Thermonuclear Experimental Reactor. Da allora sono successe tante cose ma le vicende internazionali continuano a segnare il percorso di questo progetto. Che continua a chiamarsi ITER, anche se negli anni questo nome ha perso il significato della sigla per assumere, ironicamente, quello latino di “percorso”. Lungo e articolato, c’è da aggiungere.
Oggi i partner sono sette: Unione Europea (attraverso l’EURATOM), Russia, Cina, India, Corea del sud, Giappone e Stati Uniti. Parte dei fondi per la realizzazione era stata accantonata già a metà degli anni Novanta: cinque miliardi di euro per costruire la struttura più cinque miliardi per finanziare vent’anni di ricerche. Solo nell’ottobre di quest’anno è nata la ITER Organization, un soggetto finalmente operativo, incaricato di posare la prima pietra.
Tempi lunghi anche per sciogliere la delicata questione del luogo dove far sorgere il reattore. Il Giappone aveva candidato Rokkashomura, nel nord del paese. Ma l’UE ha insistito fin dal principio con la sua candidatura: Caradache, nel sud della Francia. Proprio come alle Olimpiadi, ma senza scadenze da rispettare, più qualche imprevisto diplomatico. Il Canada aderì tra il 2001 e il 2003, anno in cui capì che non avrebbe ottenuto di ospitare il reattore. Gli Stati Uniti si erano defilati nel 1999 perché costava troppo ma sono rientrati nel 2003 dopo una revisione del preventivo, giusto in tempo per i colloqui decisivi. Il nodo della sede, infatti, giungeva al pettine proprio nel momento in cui la Casa Bianca cercava alleati per l’invasione dell’Iraq e, davanti al netto rifiuto della Francia, si alleò col Giappone. Che prese parte alla guerra di Bush ma perse il reattore: a fine giugno 2005 a Mosca i partner assegnarono la sede alla Francia col voto decisivo di Russia e Cina. Pochi mesi più tardi il giapponese Kaname Ikeda fu nominato direttore generale del progetto. Tocca a lui adesso coordinare la realizzazione di un’impresa storica: ricavare energia dalla fusione di due nuclei atomici leggeri.
Le centrali nucleari esistenti si alimentano con la FISSIONE nucleare, una reazione che divide gli atomi di elementi pesanti come l’uranio 235 e il plutonio 239. La FUSIONE è il processo inverso: consiste nella unione di due atomi leggeri in uno più pesante. Dalla reazione si libera energia. Il combustibile di partenza è una miscela di gas, deuterio e trizio, leggermente radioattiva. Sebbene si possa “fabbricarli” facilmente a partire dall’acqua, al momento il trizio può essere importato dal Canada. Lì le centrali nucleari tradizionali, a fissione, lo ottengono dall’irraggiamento dell’acqua pesante (deuterio), impiegata come refrigerante del reattore.
Come segnala Greenpeace, «è elemento di base di determinate tecnologie militari, come dimostrano i progetti di ricerca come il laser megajoule di Bordeaux». Attualmente, il gas arriva già pronto ma, in mancanza di questa possibilità, il reattore può essere alimentato con una miscela di idrogeno e deuterio e, anche in questo caso, bastano pochi litri d’acqua per alimentare un reattore.
La fusione di questi atomi semplici, parenti stretti dell’idrogeno, avviene ad altissime temperature. Per questo i gas non possono toccare le pareti del reattore ma restano confinati in una nube, chiamata plasma, creata da un potente campo magnetico. L’energia liberata dalla reazione all’interno di un corridoio circolare (detto tokamak) viene emessa in combinazione con neutroni ed elio, che sfuggono al campo magnetico e vanno a interagire con le pareti del reattore, che devono essere sufficientemente robuste. Il processo produce atomi di elio e neutroni, più una grande quantità di energia. Mentre la fissione atomica produce anche scorie sotto forma di barre di uranio altamente radioattive, nella fusione non ci sono tracce pericolose del combustibile esausto.
Per Greenpeace la nuova tecnologia «pone esattamente gli stessi problemi della fissione per quanto riguarda gli scarti radioattivi: il rischio di incidenti e proliferazione di armamenti». Come spiega Alessandro Tesini, ingegnere meccanico che si occupa di progettare la manutenzione del reattore, le scorie ci saranno, ma in misura diversa. Mentre parte del combustibile si trasforma in elio, un gas nobile che può essere catturato e venduto all’industria, «le scorie sono solo quelle associate ai processi di manutenzione e allo smantellamento finale del reattore». Quando va in pensione, presumibilmente dopo vent’anni di attività, il reattore deve essere smontato e i materiali vanno tenuti d’occhio perché emettono radiazioni. Anche durante il suo funzionamento, le parti interne non possono interagire con gli organismi viventi. Tesini si occupa proprio di progettare e realizzare gli strumenti, propriamente dei robot, che servono alla manutenzione telecomandata di quelle aree.
Bisogna aggiungere che la radioattività di questi resti è assai ridotta rispetto alle barre di uranio esauste: anche se nella fase iniziale è molto alta, si disperde nel giro di qualche centinaio di anni. Poca cosa a confronto con le scorie di uranio, che invece continueranno a “scottare” per circa diecimila anni e per questo richiedono trattamenti molto delicati prima di essere stoccate e allo stesso tempo suscitano preoccupazioni perché possono essere trasformate in testate nucleari.
Continua: http://gianlucaaiello.blogspot.com/2008/01/fusione-nucleare-2.html
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