Fusione Nucleare - 2
Segue da: http://gianlucaaiello.blogspot.com/2008/01/fusione-nucleare-1.html
La reazione di fusione che si produce all’interno del reattore è paragonabile per potenza a quella che tiene “acceso” il Sole. Con una differenza decisiva, spiega Tesini: il reattore a fusione non provoca reazioni a catena incontrollate e quindi non c’è rischio d’esplosione.
«In caso di incidente, la reazione termina spontaneamente», laddove la reazione a catena, tipica della fissione, deve essere arrestata artificialmente. Anche da questo punto di vista, quindi, la fusione rappresenta una novità.
Ai fini della sperimentazione non si tratta solo di scatenare la nuova reazione atomica ma di ottenere da essa più energia di quanta ne serva a scatenarla. I calcoli vanno fatti con cura, sia per valutare attentamente la reale efficienza della tecnologia, sia perché teoricamente occorre una grande quantità di energia.
Di questi aspetti si occupa un altro ricercatore italiano, Ivone Benfatto, l’ingegnere che segue la fabbricazione dei sistemi per l’alimentazione elettrica di una grande quantità di impianti: dai dispositivi di raffreddamento del reattore al sistema dei magneti che consente alla reazione di svolgersi in sicurezza, dall’impianto di riscaldamento dei gas che è essenziale per la reazione all’illuminazione degli uffici. In breve, tocca a lui valutare quanta elettricità sarà necessaria. Un calcolo che deve essere accurato perché ITER è un laboratorio gigantesco, non una centrale elettrica: non produrrà energia in proprio. Al contrario, ne utilizzerà molta. «Si rischia di creare perturbazioni nel sistema elettrico nazionale francese. Per questo bisogna concordare tutto con i gestori della rete elettrica nazionale».
Il gas all’interno del reattore dovrà essere scaldato a una temperatura di 100 milioni di gradi (addirittura superiore a quelle che si registrano al centro del Sole); i magneti utilizzati dovranno essere raffreddati per mezzo di un impianto apposito; un impianto di raffreddamento più tradizionale richiederà inoltre l’impiego di pompe, che assorbono altra energia. «Da una parte ho i colleghi che seguono i singoli impianti. Dall’altra ho la rete elettrica francese». La stima relativa ai sistemi ausiliari è tra gli ottanta e i cento Megawatt, ai quali vanno aggiunti i 100-200 Megawatt per i magneti e 200-300 per l’innesco della reazione.
Numeri che dicono qualcosa solo in confronto con quelli di una comune centrale termoelettrica, che impiega tra i 50 e i 100 megawatt per restituirne un migliaio alla rete. La gigantesca sperimentazione fa tesoro dell’esperienza accumulata finora con la realizzazione di reattori in scala minore.
Sia Tesini che Benfatto si sono laureati in Italia nel 1983. Per la sua tesi di laurea, Benfatto seguì la realizzazione dell’impianto di fusione RFX, realizzato a Padova per iniziativa congiunta di Unione Europea, CNR, ENEAe università e attivato nel 1991. Tesini, invece, si è laureato a Milano ma ha lavorato direttamente all’estero, in Gran Bretagna, al progetto JET (Joint European Torus) per undici anni. Impianti simili sono stati realizzati ovunque, come il TFTR negli Stati Uniti, o il JT60 in Giappone. La novità di ITER è rappresentata soprattutto dalle dimensioni dell’impianto. Mentre i reattori sperimentali realizzati finora possono essere costruiti al centro di una grossa stanza, l’edificio di ITER è alto 24 metri, largo 30. Le reazioni avvengono entro una “ciambella” che ha oltre sei metri di raggio esterno.
«Come direbbe uno scienziato anglosassone, in questo caso size matters: le dimensioni dell’impianto sono decisive», spiega Tesini. L’effetto di scala rende le reazioni più stabili e durature. La tecnologia non si presta, al momento, a fornire un flusso continuo di energia. In vista di un’applicazione pratica del reattore in una centrale elettrica vera e propria, è decisivo studiare i tempi della reazione e l’eventuale necessità di una rete di reattori che producano energia alternandosi. Gli esperimenti di Caradache serviranno a risolvere interrogativi vecchi ormai di qualche decennio.
È in grado l’uomo di controllare una reazione così potente? Si può ricavare energia da una reazione che ne impiega così tanta per realizzarsi? In quanti modi la si può innescare?
«Oltre alla scommessa di far funzionare l’impianto – aggiunge Benfatto – c’è quella di lavorare con un metodo nuovo, in un ambiente internazionale». Sette partner significa scienziati di sette paesi diversi (se si intende l’Europa come un unico paese, altrimenti bisogna aggiungerne ventiquattro). Lingue diverse, formazioni diverse, diversi approcci ai problemi. E, come se ciò non fosse abbastanza complicato, una divisione degli appalti e delle singole mansioni che può togliere il sonno ai tecnici coinvolti: pezzi identici saranno forniti da nazioni diverse per essere assemblati nella stessa macchina.
Concepito sul finire della guerra fredda, ITER si è assegnato la missione supplementare di simboleggiare le immense possibilità della collaborazione tra i popoli. «La sfida che si gioca qui è immensa», commenta Tesini. L’impresa di ITER è stata paragonata alla Stazione spaziale internazionale, in orbita dal 2000 e frutto di uno sforzo di ricerca internazionale, ma qualcosa autorizza il paragone con la torre di Babele o la fabbrica di San Pietro.
Secondo Greenpeace, la fusione è «un sogno destinato a non realizzarsi mai». Davanti alle emergenze planetarie, l’associazione giudica aberrante e demenziale un programma da dieci miliardi di euro (la metà pagati dall’Europa) destinati a un programma di ricerca che non prevede alcun risultato concreto entro la metà del secolo: «se le fonti rinnovabili, tutte insieme, nel periodo 1992-2005 hanno visto l’11 per cento delle risorse di ricerca e sviluppo, il nucleare da fissione ha assorbito oltre il 46 per cento e quello da fusione oltre il 12 per cento».
Intanto a Caradache arrivano i ricercatori; al momento sono circa duecentocinquanta, ma ogni settimana se ne aggiungono una decina. Prendono posto in una sede provvisoria, mentre nel sito dove è prevista la costruzione dell’impianto, un terreno di proprietà della Commissione francese per l’energia atomica, sono già annunciate le operazioni di preparazione del cantiere.
Di produrre elettricità a partire da ITER si occupa intanto un altro progetto, DEMO, già pianificato da un organismo europeo (l’European Fusion Development Agreement, EFDA), mentre si affaccia la possibilità di sfruttare le proprietà del laser per provocare la fusione. Il primo esperimento del genere è stato realizzato nel 2001 da Ryosuke Kodama all’Università di Osaka. Grazie alle sue proprietà, il laser agisce a distanza e con precisione e, in questo senso, elimina una certa quantità di problemi pratici legati alla struttura meccanica del reattore. Un progetto di sperimentazione europeo costerebbe meno di un miliardo di euro. Ovvero 500 milioni di sterline visto che è uno scienziato britannico, Mike Dunne del Rutherford Appleton Laboratory di Oxford, ad aver stimato i costi di un impianto, denominato HIPER, già approvato da Bruxelles, che dovrebbe essere costruito a partire dal 2011.
Il reattore di Cadarache, invece, non sarà pronto prima del 2016. Ma c’è poco da stare a guardare: progetti simili ad HIPER sono pronti anche in Giappone e Stati Uniti.
Per approfondimenti in rete:
http://www.iter.org - Sito ufficiale di ITER
http://www.fusione.enea.it - Programma Fusione ENEA
http://www.ibf2007.org - Conferenza su ITER e opportunità per le imprese. Nizza, 10-12 dicembre
http://www.hiper-laser.org - Progetto di reattore azionato dal laser, approvato quest’anno dalla Commissione europea.
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