giovedì 3 aprile 2008

Api e pipistrelli: misteriosa peste

Benchè gli uni siano mammiferi e gli altri insetti, pipistrelli ed api hanno sempre avuto qualcosa in comune. Entrambi volano. Entrambi sono indispensabili per l’agricoltura, i pipistrelli perché combattono gli insetti nocivi (ciascuno di loro, d’estate, mangia insetti per la metà del suo peso ogni giorno), le api perché necessarie ad impollinare le culture.
Ora hanno un’altra cosa in comune: una malattia sconosciuta li uccide a migliaia, portando le due specie sull’orlo dell’estinzione. La moria dei pipistrelli è stata notata nei nordici e nevosi stati di New York, Vermont e Massachusetts, le cui caverne o vecchie miniere sono siti d’ibernazione dei mammiferi volanti. I biologi dell’Environmental Conservation Department hanno tentato un censimento in quattro grotte e miniere dello Stato di New York, e calcolano che il 90% degli animaletti che vi avevano svernato in letargo sono morti.
Li si vede uscire in pieno giorno dalle caverne, in questo scorcio d’inverno - i pipistrelli sani volano solo di notte e d’inverno dormono - e morire sbattendo le ali nella neve. I piccoli corpi appaiono anormalmente emaciati; spesso gli scienziati li hanno trovati picchiettati da un fungo e con la polmonite, ma ritengono che queste siano affezioni secondarie.
La malattia che li uccide - chiamata Sindrome del Naso Bianco - ha causa sconosciuta: virus o batterio, intossicazione da inquinamento o disordine metabolico; dieci laboratori americani stanno studiando tutte le ipotesi, ma senza esito.
Il tasso di mortalità è spaventoso: in una sola caverna presso Albany, dove erano stati contati 15.584 pipistrelli nel 2005, se ne sono trovati 6.735 nel 2007 e appena 1.500 quest’inverno.
Alcuni studiosi sospettano che un pesticida introdotto di recente per stroncare il West Nile virus (il virus del Nilo) possa essere la causa della strage, sia per intossicazione diretta sia per cause indirette, riducendo la popolazione di insetti di cui i mammiferi volanti si nutrono.
Altri gruppi stanno monitorando il comportamento degli insettivori durante il letargo nella caverne con telecamere ad infrarossi, per vedere quante volte si svegliano durante l’ibernazione, e misurare la temperatura corporea del branco.
Il professor Thomas Kunz, biologo della Boston University, ha studiato i resti dei pipistrelli uccisi dal misterioso male ed ha notato che sono anormalmente magri, mancanti del grasso - specie del cosiddetto «grasso bruno», una sorta di accumulo che si trova tra le scapole, e che fornisce l’energia per il primo volo agli animali che escono dal letargo. Le femmine, così magre, non raggiungono l’ovulazione e quindi, anche se sopravvivono, non partoriscono (nelle razze studiate, ogni femmina genera solo un figlio l’anno, il che rende più vicina la prospettiva di estinzione).
Per contro, ben poche ricerche sono state avviate e finanziate sulla strana malattia che sta facendo scomparire le api, come hanno dichiarato i proprietari di 22 apiarii di dieci Stati americani. Questi allevatori di api si trovano ogni anno in California dove portano i loro alveari durante la fioritura dei mandorli, sia per aiutare l’impollinazione che darà i frutti, sia per ottenere un miele pregiato.
Ora, scambiandosi le informazioni, hanno scoperto che il 37% delle 230.500 colonie che allevano è scomparso; l’anno precedente la perdita era stata del 30%. Pochi vedono le api morire. Apparentemente, la malattia, chiamata provvisoriamente Colony Collapse Disorder, induce un comportamento anomalo e distruttivo: le api operaie se ne volano via, abbandonando nell’alveare la regina con le larve nei favi, e non si trovano più.
«Se morissero le mucche la gente scenderebbe in piazza a chiedere finanziamenti per lo studio del male», dice Jerry Hayes, l’entomologo del Dipartimento dell’Agricoltura della Florida: «La gente crede che il cibo gli venga dalle industrie. Ma le api impollinano un terzo delle colture degli USA, che danno raccolti per 15 miliardi di dollari».
Oggi, gli apicoltori hanno portato un terzo di tutte le api americane (le superstiti) per salvare il raccolto di mandorle in California. In Florida, si attendono questi apicoltori con i loro alveari per impollinare migliaia di ettari di aranceti, frutteti vari e chiodi di garofano. E’ incerto se potranno farlo l’anno prossimo. Lo stesso vale per i pipistrelli.
«La presenza dei pipistrelli nel Texas consente ai coltivatori di cotone di salvare da un sesto a un ottavo del raccolto, perché divorano gli insetti nocivi», dice la dottoressa Elizabeth Buckles, specialista in mammiferi della Cornell University: «La morìa in corso - mezzo milione di insettivori scomparsi nel solo Vermont - avrà di sicuro effetti economici. Li constateremo la prossima stagione, come sovrabbondanza di insetti infestanti».
Tutti sospettano, a mezza bocca, che qualche intervento umano da agricoltura industriale, introdotto per aumentare la produzione, abbia sconvolto delicati e sconosciuti equilibri naturali fra il mondo animale e vegetale, vigenti da tempo immemoriale: forse i pesticidi chimici, forse le sementi geneticamente modificate, e la scienza non sembra in grado di stabilire né la causa né i rimedi.

3 commenti:

Massi ha detto...

Interessante.

In generale non sono contrario agli OGM ed a tutte le "diavolerie" genetiche in agricoltura. Quello che mi fa veramente paura è proprio la mancanza (da profano in materia) di sicurezze sull'impatto di tali modifiche.

Qualche tempo fa ho visto un episodio di ReGenesis (una serie canadese) in cui alcuni personaggi morivano proprio per una modifica genetica introdotta nelle zanzare ... va beh quella è fantascienza però ...

GAMoN ha detto...

Avevo già letto la notizia. E che la causa possa essere una coltura OGM è solo un'ipotesi.

Personalmente, non sono mai stato contrario agli OGM per un semplice motivo: gli OGM sono sempre esistiti da quando l'uomo si è trasformato da cacciatore in agricoltore.
L'unica differenza è che prima si procedeva a caso: si incrociavano due varietà di piante e ciascun incrocio generava una varietà diversa, a seconda della combinazione casuale dei geni. Quando una di queste varietà manifestava caratteristiche interessanti la si manteneva ed eventualmente si incrociava con un'altra varietà dalle caratteristiche interessanti, altrimenti la si scartava.
Adesso invece si procede in maniera mirata: si individuano i geni responsabili di una certa caratteristica e si manipolano direttamente.
Non c'è differenza rispetto al passato tranne per una cosa: la velocità del processo.
Che una varietà modificata dall'uomo (per selezione genetica naturale o artificiale) possa essere dannosa è possibile. Ciò che veramente è cambiato rispetto a un tempo è la velocità di diffusione introdotta con la globalizzazione.
Un tempo la varietà selezionata dal contadino restava confinata su una scala territoriale molto limitata. Quindi gli eventuali danni restavano confinati ed era relativamente facile eliminare la varietà "tossica".
Adesso invece, nel giro di pochi mesi, ce la ritroviamo in tutto il mondo.
E se qualcosa non funziona come previsto è un disastro.

Morale: la genetica che lo si voglia o no è il nostro futuro. In agricoltura come in medicina e, in un futuro nemmeno troppo remoto, pure nell'industria.
Si tratta solo di trovare il giusto equilibrio, le giuste precauzioni prima di diffondere materiale organico i cui effetti non sono stati testati su scala locale e per un periodo sufficientemente lungo.
Ma ormai lo sappiamo... quando ci sono soldi in ballo il tempo è relativo.

Unknown ha detto...

Assolutamente daccordo con entrambi. Non mi trovo contrario a priori con gli OGM, ma con la mancanza del principio di precauzione in questo come in altri campi.

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