I posti di lavoro dei centri commerciali sono meno di quelli promessi
I posti di lavoro promessi o prospettati per l’apertura di grandi centri commerciali in Italia sono sempre inferiori a quelli creati realmente. E’ una delle risultanze di uno studio realizzato dal blog Libera Mente incrociando i dati del territorio e di altre esperienze italiane per capire quale può essere l’impatto sull’economia locale di un progetto della società Policentro Daunia srl di Agrate Brianza da realizzare a Partinico e che viene annunciato come uno dei più grandi d’Europa.
Oltre al bilancio tra posti creati e persi, dall’analisi costi-benefici e dai dati relativi ad altri centri commerciali aperti in Lombardia (province di Bergamo, Sondrio, Pavia, Cremona, Milano, Brescia), Puglia (Molfetta), Lazio (Valmontone) e Sardegna (Sestu, Cagliari) è emerso che: una buona parte dei lavoratori non vengono presi dal territorio dell’insediamento perché le aziende portano con sé personale specializzato di fiducia; spesso si segnalano alti livelli di precariato (soprattutto al sud) fra gli addetti degli outlet; il centro storico della città si svuota e si spostano le attività aggregative e di consumo verso l’outlet; l’impatto sulla viabilità locale è forte (+20-25% traffico, aumento scarichi auto in atmosfera); aumenta la pressione antropica nell’area dell’insediamento (rifiuti, consumi idrici, scarichi civili, ecc.).
L’analisi ha registrato anche ricadute positive di questi insediamenti: il generale aumento dei valori immobiliari urbani e dei valori fondiari di terreni vicini all’outlet; la necessità di aumentare la capacità ricettiva; l’aumento del gettito fiscale per il comune dove è insediata la struttura.
Nel caso di Partinico, dove si discute e si polemizza dal 2000 su questo progetto, a fronte dei 2000 nuovi posti di lavoro più 2400 legati all’indotto prospettati dalla società brianzola l’analisi di partinico.info, su dati e statistiche ufficiali trattati dall’economista Giuseppe Nobile (responsabile del servizio statistica della Regione Sicilia), hanno registrato, invece, una media ottimistica di 393 nuovi occupati, indotto incluso.
L’aspetto positivo, anche indipendentemente dal merito, dello studio allegato, è quello di affrontare in modo innovativo il tema della radicale trasformazione socioeconomica e territoriale indotta dalla grande distribuzione. Ovvero, nell’evitare l’abituale contrapposizione fra conservatorismo a oltranza e innovazione ad ogni costo, così come di norma viene proposta da stampa e comunicazione in genere: da un lato società e ambiente “locale”, dall’altro la new wave globalizzante rappresentata dai nuovi spazi della post-modernità.
Le cose non sono naturalmente mai così semplici, perché come si intuisce ogni trasformazione comporta dei costi, e ad esempio quelli per l’ambiente e il territorio sono irreversibili, hanno delle conseguenze anche sociali ed economiche di medio periodo, e via dicendo.
Ben venga, anche, questo modo innovativo e “di base” di approccio ai problemi, soprattutto per il contesto dell’Italia meridionale, sottoposto a fortissime pressioni insediative commerciali e a fronte di una debolezza culturale e istituzionale che rischia di ripetere, con impatti altrettanto devastanti, quanto già avvenuto nei casi delle opere di modernizzazione come strade, grandi impianti, complessi industriali ecc. Con la speranza di vederne ancora molti, e soprattutto di veder affiancarsi e convergere altri soggetti, come il mondo accademico e della ricerca istituzionale, o quello associativo: sia dal punto di vista della qualità, che dell’approccio, che della sua visibilità pubblica.
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