La tassa insostenibile - 1
Lo scorso otto maggio il commissario europeo all’Ambiente Stavros Dimas ha annunciato una nuova indagine sugli aiuti di stato al nostro settore energetico. Nonostante le norme europee, le diffide e le battaglie, un fiume di denaro pubblico continua ad affluire nelle casse di chi costruisce e gestisce impianti per la produzione di elettricità.
Finanziamenti generosi che privilegiano abilmente le tecnologie meno efficienti e più inquinanti. Un fiume fatto di spiccioli, sfilati ogni mese dalle tasche dei consumatori attraverso la bolletta elettrica, raccolti in un fondo nazionale da centinaia di milioni di euro l’anno al quale attingono i gruppi industriali attivi nel settore energetico, passando spesso per le banche, italiane ed estere.
Tentare di fare chiarezza su questa strana storia porta dritto ad una sigla, “CIP 6”, e richiede un po’ di pazienza. La sigla CIP 6 si riferisce ad un documento approvato nel 1992 da un organismo che ormai non esiste più, il Comitato interministeriale dei prezzi. Il quale, volendo stimolare l’offerta di energia, creò un meccanismo di incentivo alla produzione da fonti “rinnovabili e assimilate”. In apparenza è tutto regolare: in tutto il mondo esistono incentivi alle energie rinnovabili. Le fonti “assimilate”, invece, sono una specialità italiana.
Come spiega il testo del provvedimento, le assimilate sono risorse di origine fossile: impianti di cogenerazione, installazioni che utilizzano calore di recupero, fumi di scarico, scarti di lavorazione e di processi e quelli che utilizzano fonti fossili prodotte esclusivamente da giacimenti minori.
In pratica, col pretesto di sostenere fonti di energia innovative e bisognose di investimenti come il solare e l’eolico, lo stato ha concesso aiuti a settori ben consolidati, che non dovrebbero averne bisogno. Il funzionamento degli aiuti è complicato ma parte dalla definizione dei “prezzi di ritiro” dell’energia elettrica prodotta dalle diverse fonti. Sono prezzi più alti di quelli di mercato, che da allora il GSE, il Gestore nazionale dei Servizi Elettrici, paga agli impianti “CIP 6” per poi rivendere la stessa energia sul mercato, a prezzi inferiori.
La differenza la mettono i consumatori attraverso la “componente tariffaria A3”, non sempre evidenziata nelle bollette. Il Sole 24 Ore la definisce “un impercettibile rincaro”. Secondo l’Autorità per l’energia, la componente “A3” incide per circa l’otto-nove per cento della tariffa media nazionale.
Dei circa 30 miliardi di euro pagati in bolletta dai consumatori fino al 2003, il 92% è andato alle assimilate (dai residui di raffineria al carbone agli inceneritori) lasciando le briciole alle rinnovabili pulite. La tendenza si è mantenuta. Nel 2004 le assimilate producevano un settimo dell’energia nazionale (43.000 gigawattora su un totale di 303.000, a fronte di appena 13.000 Gwh da fonti rinnovabili).
Tradotto in denaro, nel 2006 l’impatto delle assimilate sulle tariffe elettriche è stato di circa 3,7 miliardi di euro. Dal punto di vista di chi li riceve, gli incentivi non sono indispensabili ma, come si legge sul quotidiano di Confindustria, «rendono rapido e certo il rientro dell’investimento e per questo motivo sono adottati dalle banche per costruire il project financing dell’impianto». Vero. Chi costruisce le centrali elencate nel CIP 6 non rischia i propri soldi, ma quelli assicurati dagli incentivi.
In più, chi possiede una raffineria ci guadagna due volte: invece di pagare per smaltire i residui, viene pagato per l’energia che produce bruciandoli (i polmoni dei cittadini ringraziano).
Questo è il caso, per esempio, della Saras di Sarroch, in provincia di Cagliari, una raffineria fondata negli anni Sessanta da Angelo Moratti. Un impianto enorme, affacciato sul mare, dove si lavorano quindici milioni di tonnellate di petrolio l’anno. Gli scarti della raffinazione vengono bruciati lì accanto, da una centrale elettrica chiamata Sarlux, di proprietà della Saras, costruita proprio per sfruttare l’olio combustibile pesante, altrimenti chiamato tar, in inglese. Scrive Pietro Raitano sul mensile Altraeconomia: «L’impianto brucia 150 tonnellate di tar l’ora. Oltre a CO2, ossidi di azoto ed emissioni varie, a fine anno la combustione lascia in dote 1.400tonnellate di scarti tra zolfo e concentrati di metalli, come il vanadio e il nichel».
L’energia prodotta dalla Sarlux è pagata profumatamente dal Gestore. Tra i 53 impianti assimilati censiti a fine 2006, questo è uno dei più grandi. Riceverà aiuti almeno fino al 2019 e con i prezzi del petrolio in ascesa diventerà una gallina dalle uova d’oro appena i proprietari avranno finito di pagare il debito contratto con le banche, nel 2011. Tornano in mente i 24 milioni di euro coi quali nel 2006 la famiglia Moratti ha ingaggiato l’attaccante Ibrahimovic nella squadra di famiglia, l’Inter.
Già, ci sono anche le banche. Siccome gli incentivi arrivano solo in cambio dell’energia, gli istituti di credito anticipano il denaro che serve per costruire gli impianti. Denaro che dovrà essere restituito. Si innesca così un commercio di crediti e di interessi che si alimenta all’infinito e, soprattutto, tradisce ogni logica di mercato. Al ricco banchetto degli incentivi, impensabili in un altro paese, si sono aggiunte le banche estere che, a vario titolo, ingrossano le fila della lobby che gioca a favore del CIP 6. Venite in Italia, ce n’è per tutti.
Anche per i produttori di energia esteri, tra i quali i francesi di Edison, che in Italia posseggono diverse centrali e ogni anno consegnano al Gestore oltre la metà dell’energia prodotta da fonti assimilate.
Segue: http://gianlucaaiello.blogspot.com/2008/06/la-tassa-insostenibile-2.html
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