Perché NO al nucleare
Il nucleare non fornisce risposte convincenti all'emergenza climatica e il ricorso all'atomo potrebbe rivelarsi fatale per un'economia fragile. Eppure il «sentimento prevalente» del Paese subisce la campagna del governo Berlusconi, sostenuta dall'opportunismo dei capofila dell'economia italiana.
1. Secondo l'Ipcc al 2020 saremo già in piena emergenza climatica se non interverranno prima riduzione dei consumi e blocco delle emissioni di CO2. A un impianto nucleare, con 40 anni di funzionamento previsto, occorrono i primi 9 anni di esercizio per pareggiare l'energia spesa nella costruzione. Occorrerebbe una nuova centrale ogni 2 settimane da qui al 2030, spendendo tra 1.000 e 2.000 miliardi di euro, aumentando il rischio di incidenti e aggravando la questione irrisolta delle scorie. Se poi guardassimo oltre il 2030, il nucleare dovrebbe arrivare a pesare almeno per il 20-25% del mix elettrico per rallentare il cambiamento climatico. Occorrerebbero almeno 3 mila centrali nucleari in più (oggi sono 439): 3 nuove centrali al mese fino a fine secolo, con prezzi alle stelle dell'uranio in via di esaurimento.
2. Lungo l'intero ciclo di vita dell'uranio, dalla miniera al reattore, si registrano emissioni di CO2 inferiori, ma confrontabili con quelle che accompagnano il ciclo del gas naturale. Sono emissioni connesse all'esercizio della centrale, ma soprattutto alle fasi relative a costruzione, avvio, posizionamento in loco del combustibile, che possono avvenire attualmente solo con l'impiego molto elevato di fonti fossili nell'area di costruzione e in miniera. Inoltre, agli impianti nucleari occorrono enormi quantità di acciaio speciale, zirconio e cemento, la cui produzione richiede carbone e petrolio. Sommando tutto, la CO2 emessa nel ciclo completo di un impianto nucleare corrisponde all'incirca al 40% di quella prodotta dal funzionamento di una centrale di pari potenza a gas naturale. Senza contare lo stoccaggio finale dei rifiuti, per cui mancano esempi. Un aspetto critico, spesso taciuto, nel processo nucleare è la quantità di acqua necessaria. Per evitare rischi di incidente catastrofico l'acqua ai reattori deve fluire, per asportare l'eccesso di calore, in volumi 10 volte superiori a quelli delle centrali tradizionali, con dispersione in vapore in aria e ritorno nel letto a elevata temperatura. Dove le filiere atomiche hanno subito una diffusione massiccia, come in Francia, la crisi idrica si è già manifestata. In questo paese il 40% di tutta l'acqua fresca consumata va a raffreddare reattori nucleari.
3. Il nucleare comporta seri e irrisolvibili problemi di sicurezza. A 22 anni dall'incidente di Chernobyl, non esistono ancora garanzie né per la contaminazione «ordinaria» radioattiva da funzionamento, né per l'eliminazione del rischio di incidente nucleare catastrofico. Piccole dosi di radioattività nell'estrazione di uranio e durante il normale funzionamento delle centrali, non sono rilevabili in tempo reale, ma solo registrabili per accumulo a posteriori. Vi sono esposti i lavoratori, come nel caso dei tre recentissimi incidenti consecutivi di Tricastin, in Francia, e la popolazione che vive nei pressi della centrale, come nel caso recente, di Krsko, in Slovenia. In un processo di combustione, spegnendo l'impianto, cessa anche la produzione di calore. In una centrale nucleare, invece, anche quando la reazione a catena viene «spenta», i prodotti di fissione presenti nel nocciolo continuano a liberare calore. Nonostante l'enfasi che si vuole porre su un'ipotetica «quarta generazione» operativa solo dopo il 2030, con i reattori in grado di eliminare parte delle scorie, l'impiego di miscele di combustibile meno pericolose, oggi si possono realizzare solo centrali intrinsecamente insicure. Le scorie radioattive sono tra i problemi più noti in relazione alle centrali nucleari. Non esistono soluzioni concrete. Le circa 250 mila tonnellate di rifiuti radioattivi prodotte finora nel mondo sono tutte in attesa di siti di smaltimento definitivi. Il problema rimane senza soluzioni, producendo effetti incommensurabili sul piano economico. Sarebbe impossibile affrontarlo ex novo su scala nazionale e irresponsabile trascurarne le conseguenze. In Italia, però, nel governo nessuno si preoccupa delle scorie prodotte dall'ipotizzato piano nucleare.
4. Secondo le stime del World Energy Council, l'uranio estraibile a costi convenienti è pari a 3,5 milioni di tonnellate, a fronte di un consumo annuo di circa 70 mila tonnellate. Al ritmo attuale l'uranio è disponibile solo per 40-50 anni. Se aumentassero le centrali, inizierebbe una competizione internazionale per questa risorsa scarsa. Il ciclo nucleare ha costi diretti e indiretti troppo elevati, e perciò destinati a essere scaricati sulla collettività. Di fatto, il nucleare è la fonte energetica più costosa che ci sia. Negli ultimi anni, il prezzo dell'uranio è cresciuto di sei volte, passando da 20$ per libbra del 2000 ai 120$ del 2007 e si prevede salirà. Il Kwh da nucleare risulta apparentemente poco costoso dove lo Stato si fa carico di sicurezza, ricerca e inconvenienti di gestione, ma soprattutto delle scorie e smantellamento delle centrali. Sono proprio questi costi e la possibilità di ripensamento dei governi in crisi finanziaria, ad aver scoraggiato gli investimenti privati negli ultimi decenni. Nel caso dell'Italia, nonostante la propaganda di Scajola e soci, il nucleare non consentirebbe di ridurre la bolletta energetica. Infatti, per un totale di 10-15mila Mw di potenza installata su una decina di impianti, occorrerebbe costruire da zero tutta la filiera, investendo tra i 30 e i 50 miliardi di euro (scorie escluse) con i primi ritorni solo dopo 15 o 20 anni e sicuramente bollette più salate.
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