Le politiche per la casa
Il problema sociale dell’emergenza abitativa, pur reale e gravissimo, viene oggi utilizzato strumentalmente per portare a compimento lo smantellamento di quel poco di ruolo di indirizzo pubblico nella costruzione di un assetto sostenibile della città e del territorio sopravvissuto all'ultimo trentennio con l’introduzione degli Accordi di Programma e finito con l’art. 16 della L. n. 179/92 sui Programmi Integrati di intervento.
La strada è stata aperta lo scorso anno con una legge della Regione Lombardia che consente ai Comuni di offrire ai privati la realizzazione di edilizia sociale convenzionata per un decennio su aree già destinate a servizi pubblici ancora inattuate.
Il principio sarebbe quello di considerare l’edilizia residenziale sociale al pari di servizi pubblici, consentendone l’attuazione ai privati per un periodo determinato, dopo di che quell’edilizia tornerebbe ad uso interamente privato.
E’ chiaro che in questo modo si incrementa il peso insediativo del fabbisogno di edilizia sociale (che dopo un certo periodo si riproporrebbe non essendo il vincolo permanente), anziché sottrarlo dalla quota di edificabilità totale sostenibile e si decurta la quantità di aree a servizi pubblici che la legislazione regionale dal 1975 ad oggi aveva consolidato attorno al parametro di 24-28 mq/abitante.
E' stato il dilagare dell’urbanistica contrattata attraverso i Programmi Integrati di Intervento e gli Accordi di Programma per eventi eccezionali ormai divenuti ripetitivi (Colombiadi, Giubileo, Mondiali di calcio, Olimpiadi, ecc.) ad aver fatto sì che si potesse di fatto aggirare l’obbligo - tuttora vigente - di destinare dal 40 al 70 per cento del fabbisogno abitativo decennale ad edilizia economico popolare.
A Milano, la vicenda di Expò 2015 vede Fondazione Fiera, egemonizzata da Comunione e Liberazione/Compagnia delle Opere grazie alle nomine di Formigoni, offrire all’evento (che durerà un semestre) un patrimonio di 1 milione di mq di aree agricole acquisite per il Nuovo Polo Fieristico di Rho-Pero, purché dal 2016 siano rese edificabili.
Il patrimonio legislativo lasciatoci in eredità dal centro-sinistra storico degli anni Sessanta-Settanta ci aveva consegnato un meccanismo che legava l’intervento sociale in campo abitativo alle previsioni insediative pubblicamente determinate e alle risorse economiche che esse generano. Ce lo siamo di fatto lasciato smontare pezzo a pezzo senza che neanche fosse ufficialmente abolito (le leggi sono tuttora in vigore!) e ora ci sorprendiamo che la pressione dell’irrisolta e a lungo trascurata emergenza sociale abitativa ci venga rivolta contro per scardinare ulteriormente il controllo pubblico del territorio, in nome di un neo-liberismo che pretende di curare i difetti di regole il cui difetto è stato di non essere state più o mai adeguatamente applicate!
Non si tratta, tuttavia, solo di singoli episodi degenerativi: i Comuni, quasi senza più differenza tra amministrazioni di destra o di sinistra e sempre più diffusamente di fronte alle ristrettezze di bilancio, sembrano ritenere di poter ricorrere liberamente alla modifica dei PRG tramite lo strumento dei PII e degli Accordi di Programma, a patto di dimostrare che una quota stabilita discrezionalmente del vantaggio economico che ne deriva al privato venga devoluta loro e che dell’utilizzo di tale quota possano poi disporre a piacimento.
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