martedì 3 marzo 2009

Crisi economica, lavoro e società

Il numero sempre crescente di italiani che cercano con urgenza un’occupazione qualsiasi, anche se precaria, sgradevole e mal pagata, rivela come in Italia la politica economica-sociale di cui un Paese avanzato dovrebbe disporre per proteggere i suoi cittadini dalle crisi economiche non sia adeguata.
Quasi tutte queste persone hanno competenze professionali superiori a quelle richieste per lavorare. Per avere il tempo e la voglia di trovare un’occupazione migliore, in un periodo di aumento drammatico e prolungato della disoccupazione, avrebbero bisogno d’un sostegno al reddito che la protezione sociale assicura poco.
Per avere titolo a qualche sorta di sostegno, tipo la cassa integrazione, il sussidio di mobilità o l’indennità di disoccupazione, bisogna prima aver lavorato per un certo periodo alle dipendenze di un’impresa. Un’impresa che per di più deve avere certe caratteristiche e dimensioni, altrimenti non può chiedere che i propri dipendenti ricevano qualcuno dei sostegni descritti.
Questi sostegni, paragonati a quelli di altri Paesi europei, sono modesti e, per quanto riguarda la condizione di disoccupato, di durata relativamente breve. In Danimarca, ad esempio, l’indennità di disoccupazione può arrivare al 90 per cento del reddito degli ultimi tre mesi di lavoro, con un tetto annuo di 20.000 euro, e può venir percepita per anni. Da noi si può arrivare al massimo al 60 per cento, e per pochi mesi.
Un'altra mancanza della protezione sociale italiana è dovuta dalla scarsezza di politiche attive del lavoro, quelle che offrono alla persona in cerca di occupazione corsi di qualificazione, consulenze professionali, ricerca sistematica di posti disponibili. La quota di Pil che l’Italia destina alle politiche attive del lavoro è minima rispetto a vari altri Paesi europei, per non parlare di quelli scandinavi.
L’eccesso di offerta di occupazioni poco qualificate, sottopagate e precarie, e la relativa moltiplicazione di lavoratori malcontenti in conflitto tra loro, finiscono per generare tensioni sociali insostenibili. La corsa di ex dipendenti disoccupati e di neolavoratori verso occupazioni che fino a ieri erano accettate solamente da extracomunitari, quelli provenienti dalle masse dei disperati del mondo, mostra che questo è quello che sta accadendo.
È un effetto della crisi economica, ma dovremmo sforzarci di vederlo come un’occasione. L'occasione per allargare il dibattito sul mercato del lavoro a temi di più ampio rilievo per il futuro non solo economico, ma anche politico e sociale dell'Italia.

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