martedì 31 marzo 2009

Politica agricola

La decisione di piantare un orto nel giardino della Casa Bianca può sembrare una banalità o una cosa superflua, ma in realtà va letta come un vero atto politico. I giornali parlano della precisa volontà di Michelle Obama rispetto a questa piccola grande svolta: infatti è tradizione che siano le first ladies a occuparsi di che cosa deve finire nei piatti presidenziali. Il grande movimento di persone legate al mondo del biologico, delle produzioni agricole locali, dei farmers’ markets e di Slow Food, una grande rete popolare che negli Stati Uniti sta facendo sempre più seguito, ha senz’altro avuto un’influenza determinante.
Il fatto che l’uomo più potente del mondo si sia deciso a fare quello che i suddetti movimenti stanno da tempo realizzando nelle scuole e nelle comunità con gli school gardens (Slow Food da parte sua, ha già attivato circa duecento orti scolastici in Italia e quasi trecento nel resto del mondo) sancisce una volta per tutte che non si tratta di un vezzo salutista o di snobismo, ma pura politica.
Non a caso è una decisione presa dopo l’annuncio da parte di Obama di voler riformare la Food and Drug Administration, l’ente che dovrebbe vigilare sulla sicurezza alimentare dei cittadini americani e intanto approva coltivazioni Ogm, ormoni della crescita negli allevamenti e ogni sorta di additivo alimentare. Infine, è una decisione presa di fronte a una crisi economica che sta mettendo a dura prova gli Stati Uniti e il mondo, quindi dal significato molto profondo, che dovrà dichiaratamente servire da esempio a tutte le famiglie americane.
Non è soltanto un modo per procurarsi cibo più facilmente, è una vera questione economica: è la differenza che passa tra prezzo e valore.
Qualcuno la definisce economia partecipativa, quindi anche democrazia partecipativa. Non conta quanto vale l’atto in termini di prezzo, ma è l´atto stesso, il cui valore sta nel chi lo compie, come lo compie e perché lo compie. Si tratta di mettere in moto le basi di una nuova economia locale, che ha evidenti vantaggi nel consumo di prodotti freschi, stagionali, più buoni, meno inquinanti, che non si accaniscono sulle tasche né del contadino né di chi mangia, ma che soprattutto rende protagonisti i cittadini e infonde una nuova consapevolezza del cibo, di quelli che sono i tempi e le esigenze della natura. In questo modo non si è più consumatori passivi e nocivi, ma si diventa padroni delle proprie vite, tra l’altro anche rendendosele più piacevoli.

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