La rivoluzione ecologista solo agli inizi
Su Repubblica, Jeremy Rifkin rilascia una intervista dopo le prime mosse di Barack Obama e torna a parlare di quella che lui definisce "la terza rivoluzione industriale".
Secondo Rifkin si è ai primi passi verso la direzione giusta, ma si deve fare attenzione agli entusiasmi troppo facili: "per vincere la sfida che abbiamo di fronte, per rallentare il cambiamento climatico rendendolo compatibile con la sopravvivenza della nostra società, bisogna fare di più".
L'elettricità, alla base della seconda rivoluzione industrile, non ha sostituito il vapore da un giorno all'altro: sono cambiamenti epocali che procedono in maniera irregolare, con accelerazioni rapide in un'area e arretramenti in un'altra.
Per Rifkin, la sostenibiltà di questo processo di cambiamento può avvenire non puntando solo sulle centrali elettriche ma anche sugli altri due pilastri della terza rivoluzione industriale. Prima di tutto intervenire sugli edifici non solo per limitare gli sprechi ma per compiere un salto tecnologico più impegnativo. Case e uffici devono produrre energia, non consumarla. Ormai la tecnologia per arrivare a questo risultato è a portata di mano: coibentazione, pannelli solari che avvolgono l'edificio, geotermia, energia dai rifiuti e anche il mini-eolico faranno sì che le case si trasformino in micro centrali elettriche.
Mentre il terzo pilastro è la conseguenza logica del precedente. Cambiare l'attuale albero di distribuzione dell'energia elettrica che segue il vecchio modello basato su alcuni grandi rami e i capillari a scendere. Dovrà nascere l'Internet dell'energia: una rete elettrica interattiva e decentrata, capace di leggere l'offerta e i bisogni che vengono da ogni punto creando in ogni momento la migliore sinergia possibile. È un modello più affidabile perché riduce i rischi di black out, più sicuro perché l'energia è prodotta sul posto, più democratico perché sostituisce il potere di pochi con il contributo di milioni di persone.
Per arrivare a questo salto bisogna però rendere più convenienti le fonti rinnovabili ed è quello a cui giustamente punta Obama, ma senza la visione d'insieme, senza la capacità di pensare a lungo termine, il rilancio delle fonti rinnovabili rischia di restare privo di solide basi.
Oggi gli edifici consumano tra il 30 e il 40 per cento del totale dell'energia utilizzata, e producono un'equivalente percentuale di gas serra. Immaginare una trasformazione come quella descritta, vuol dire abbracciare un concetto di architettura nuovo e rivoluzionario. Se a questi elementi si aggiunge l'uso delle fonti rinnovabili, si ottiene una società post-anidride carbonica in cui vivere sarà molto più piacevole. Ed è anche il solo modello capace di rimettere in moto il sistema economico che si è inceppato.
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